Malum

di Anthony DiBlasi

Un percorso labirintico e videoludico tra i corridoi di una stazione di polizia nel self-remake di Anthony DiBlasi, in un cortocircuito sensoriale che omaggia Carpenter e cita Manson.

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Il regista horror statunitense Anthony DiBlasi torna alla regia con Malum, un self-remake del suo precedente Last Shift, del 2014, il cui impianto viene qui reimmaginato e ampliato, per donare nuova profondità a una storia già convincente e divenuta nel corso del tempo un piccolo cult. Il plot di base è il medesimo: una giovane recluta accetta di sorvegliare da sola una stazione di polizia nella sua ultima notte di attività, prima che la centrale venga dismessa a favore di una più moderna ed efficiente. Durante questo ultimo turno si manifestano eventi carichi di orrore e, soprattutto, di echi di un passato non troppo lontano, legati alle vicende di una setta satanica e alla storia personale della protagonista Jessica.
Le fondamenta narrative non differiscono di molto dalla prima versione del film, di cui viene mantenuto l’omaggio basilare a Distretto 13 di John Carpenter, apertamente citato da DiBlasi, che non sceglie però la via dell’horror politico ma, piuttosto, quella di un misticismo gore. Nel capolavoro del 1976 il distretto è assediato da una folla senza volto che cerca di entrare mentre qui la presenza maligna è già all’interno, scatenata dalle azioni di una setta satanica che compiva sacrifici umani.

La stazione di polizia di Malum è un luogo carico del dolore, della sopraffazione e della violenza che hanno abitato le sue celle, e che si manifestano in visioni e fantasmi del passato che perseguitano la recluta, costringendola ad affrontare le azioni di un’ingombrante figura paterna: le colpe del padre poliziotto ricadono inevitabilmente sulla figlia, mettendo in scena una narrazione che si dipana sul confine tra demoni personali e demoni reali. La solitudine e l’isolamento vengono acuiti da strane telefonate anonime e da una città in rivolta al di fuori delle mura del distretto, tutte le volanti sono impegnate a sedare i tumulti per il primo anniversario del massacro compiuto dalla setta satanica guidata da un leader carismatico di nome Malum, figura chiaramente e prevedibilmente ispirata a Charles Manson. La presenza del satanico si fa via via sempre più tangibile, segnando così la grande differenza con Last Shift, dove era nettamente più sfumata la linea di separazione tra eventi reali e autosuggestione. Questa volta DiBlasi sceglie una via più definita, complice anche un budget più elevato, che permette di indugiare con maggiore insistenza su effetti speciali che arricchiscono l’orrore messo in scena, rendendo il film più efficace nel creare perturbazione nello spettatore.

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Malum è un mix riuscito del sottogenere della casa infestata, ibridato con uno dei tópoi narrativi più sfruttati in cinema e letteratura, quello della stanza chiusa: un’unica location che diventa, qui letteralmente, prigione. Il senso di claustrofobia e di inevitabile confinamento diventano materia diegetica pulsante e angosciante, costruendo un labirinto oscuro nel quale noi che guardiamo perdiamo l’orientamento insieme a Jessica, in un susseguirsi di riusciti jumpscare, cantilene inquietanti, immagini disturbanti ed effetti sonori dissonanti. Questa compartecipazione spettatoriale viene accentuata da una regia che, in alcuni momenti, assume un punto di vista videoludico, con la camera puntata alle spalle della protagonista che percorre un dedalo di corridoi, in pieno stile survival horror à la Resident Evil. Questo innesto transmediale rappresenta una delle innovazioni più interessanti nella rivisitazione del testo originale, ne aumenta esponenzialmente l’incisività e lo stile, rendendolo così molto più personale e coinvolgente.

L’operazione di riscrittura funziona per la maggior parte del film, depotenziandosi leggermente sul finale, che si perde in una sovrabbondanza di impulsi e stimoli, ma che resta più aperto e perciò più congruo rispetto a quello di Last Shift; la scelta di DiBlasi di rimaneggiare la sua opera si inserisce in un orizzonte più ampio di registi che rimodulano e reinformano le proprie creazioni, cosa che specialmente si adatta al genere horror, da sempre prolifico nella creazione di remake, reboot, sequel e ampliamenti di universi narrativi. E qui si opta per un’impalcatura filmica radicalmente diversa dalla precedente, abbandonando del tutto l’impianto minimalista della pellicola del 2014 a favore di un eccesso debordante di sollecitazioni visive e sonore, che da un lato ben compensano l’ambientazione scarna e limitata della stazione di polizia, ma che dall’altro lo rendono, soprattutto nella seconda parte, cacofonico e confusionario.
Certamente qui manca la potenza eversiva carpenteriana, la carica politica si desatura quasi del tutto, ma sarebbe anche ingiusto un confronto tanto iniquo dettato da una semplice - quanto lapalissiana - citazione. Il difetto più riscontrabile di Malum sta, semmai, nella sua mancanza di incisività e di pulizia, rendendolo così un film molto piacevole ma anche caotico e non mordace quanto avrebbe potuto.

Autore: Gaia Fontanella
Pubblicato il 10/10/2023
USA 2023
Durata: 92 minuti

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