Speciale MUBI / Sacrificio

di Andrej Tarkovskij

L'ultimo film di Tarkovskij, disponibile nella videoteca di MUBI, è l’Alpha e l’Omega del cinema, un reset necessario che passa attraverso la preghiera e la fiducia nel mistero. Della visione e della vita.

Sacrificio - tarkovsky recensione film

[Questo articolo fa parte di uno Speciale dedicato alla piattaforma di streaming on demand MUBI, un focus monografico composta da una galleria di recensioni contaminate da riflessioni teoriche, emotive, autobiografiche, per riflettere trasversalmente sul tema della cinefilia on demand e sul più generale rapporto che intessiamo oggi con le immagini. Il progetto è stato presentato e inquadrato nell'editoriale "Di MUBI e del nome del cinema", che potete trovare qui].

Erano gli anni Novanta, e allora la scoperta cinefila era davvero un’avventura. Era necessario uno sforzo di indagine, un movimento fisico, un impegno di rara intensità. Si utilizzavano canali ufficiali e meno ufficiali, si andava ai Festival per vedere film che altrimenti non si sarebbero mai visti, si leggeva (sì, si leggeva) una critica che non esiste più. Allora, nel pieno della mia adolescenza che tutto fagocitava (immagini, suoni, letture), scoprii Andrej Tarkovskij. Mi fu suggerito dai miei attuali suoceri, che notarono il fuoco ardente della passione cinefila. Non ero preparato: Tarkovskij, come Antonioni e Malick prima, mi lacerò il cervello, mi costrinse a ripensare al mondo, alla spiritualità, alla messa in scena, al racconto, alla vita e alla morte. Divorai tutto, in ordine perfettamente non cronologico. Esordi e film maturi, un percorso invertito e illogico che mi permise di immergermi in un magma di immagini, suoni e concetti tali da generare un’esperienza a tratti mistica i cui effetti, nonostante gli anni, sento ancora oggi: Andrej Rublev, L’infanzia di Ivan, Solaris, Stalker e Nostalghia. Lessi anche Scolpire il tempo che trovai criptico, complicato, filosofeggiante eppure urgente. Insomma, vidi tutto. Tutto tranne l’ultimo film del maestro russo, quel film di cui lessi tanto ma che non si trovava. Il film-testamento con cui disse addio al cinema e alla vita: Sacrificio (Offret).

Per scrivere questo pezzo, dove memoria personale e riflessione specifica si mescolano senza soluzione di continuità, ho dovuto ricostruire quel puzzle confuso che è la mia formazione cinefila. E mi sono stupito, sebbene lo sapessi, di come realtà fattuale e ricordi si ritrovino a intrecciarsi e a influenzarsi a vicenda. Quando vidi Sacrificio la prima volta? A qualche rassegna? A casa di un amico? No, sono piuttosto sicuro che lo registrai quando fu trasmesso da Fuori Orario. Tutto può essere vero e falso insieme. Fatto sta che di quel film così bergmaniano, che voleva raccontare la fine e l’inizio, ebbi una visione, la prima, decenni fa. Poi, il vuoto. Fino a quando MUBI non lo ha messo all’interno della sua programmazione. E l'ho rivisto. Una persona diversa, con una vita diversa, un po’ disilluso nei confronti del cinema eppure sempre innamorato, conscio del radicale cambiamento che il settore della critica ha vissuto nel frattempo, essendone testimone indiretto. Ed è cambiato qualcosa da una visione all’altra? Sì, ovvio. Come sempre.

È cambiata, innanzitutto, la fruizione. Il cinema è diventato liquido, quello dello streaming, quello dell’accesso per tutti e a tutto. Il dibattito sul cinema è cambiato: ora si discute se ha senso andare in sala se si può stare a casa, sul proprio divano. Lo avresti detto vent’anni fa?
È cambiato il cinema in sé, i meccanismi di distribuzione, di visione, di fruizione, di percezione. E, ancora, sono cambiato io. Improvvisamente mi rendo conto che Sacrificio racconta anche di questo disorientamento storico, di questo sentirmi e sentirci fuori luogo. Racconta di Alexander che, in un’isola svedese, festeggia il suo compleanno circondato da amici e familiari. Poi arriva la notizia di un’imminente fine, un’apocalisse. E Alexander prega affinché tutto torni come prima.

Sacrificio è stato, per Tarkovskij, un ritorno al suo cinema degli anni Settanta, dopo l’esperienza apolide di Nostalghia. È stata l’opportunità per omaggiare il grande Bergman, l’unico autore che amasse davvero, come emerge anche nei suoi diari raccolti in Martirologio. Ma, soprattutto, è stata l’occasione per riflettere sul passato, il presente e il futuro, attraverso la lente distorta e intima della fede. È in quell’astrattezza indefinita che Tarkovskij ripone il suo messaggio per il mondo, non la presunzione di saper interpretare le dinamiche del mondo ma il coraggio di gettarsi nel buio del mistero, di rifiutare la radicalità del razionale e abbracciare l’obnubilamento dell’indefinito. Soprattutto, il coraggio di sacrificarsi. Alexander, nel noto finale, brucia la casa, rinuncia al figlio simbolo del futuro, affinché il mondo possa resuscitare dalle proprie ceneri. Migliore, nuovo, diverso. Così come il cinema di Tarkovskij che, con Sacrificio, si azzera, si riduce a cenere. Vien da chiedersi come sarebbe stato il cinema tarkovskijano post Sacrificio. Domanda inutile, naturalmente.

Nel frattempo ripenso a come era bello e misterioso vivere di cinema in un periodo in cui bisognava conquistarlo. Oggi è diverso, è vero, ma, su MUBI, Sacrificio è ancora lì, a disposizione degli utenti. E penso che tutto muta, tutto cambia. Io, il cinema, la fruizione del cinema. A parte l’assolutezza di Tarkovskij. Quella rimarrà a prescindere dalle variabili della realtà.

Autore: Andrea Fontana
Pubblicato il 26/07/2020
Francia, UK, Svezia 1986
Durata: 149 minuti

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