Il profumo magico di Guillaume Brac

Ritratto del regista: la più grande novità del cinema francese di oggi. La vita come questione di incontri e battiti del cuore.

Guillaume Brac

Non ci giriamo intorno: Guillaume Brac è la più grande novità cinematografica della Francia di oggi. E quindi, per metonimia, del cinema del nostro tempo. Parigino, 45 anni, a partire dal 2011 autore di quattro lungometraggi e tre corti o medi, inizia ad essere seriamente apprezzato in patria: in Italia nessun titolo è uscito in sala e viene scoperto grazie alla piattaforma MUBI.

«Tutti i miei film parlano dell’incontro tra persone e mondi - premette -, un incontro spesso fugace e contrastato ma con momenti di grazia». Ed è proprio così: il primo cortometraggio Le naufragé (2009) è la storia di Luc, giovane ciclista che si ferma per caso in un piccolo villaggio della Piccardia, dove conosce Sylvain, interpretato da Vincent Macaigne, per dare vita a un “breve incontro”. I temi prediletti sono in filigrana ma esplodono nel primo grande film, Un monde sans femmes del 2011: il regista assolda sempre Macaigne, sempre in Piccardia e lo chiama sempre Sylvain, forse è lo stesso personaggio. Nell’arco di 55 minuti l’autoctono Sylvain conosce due donne, una madre e una figlia in vacanza, le frequenta ma c’è un problema: Macaigne è il volto più malinconico del cinema francese, è il corpo più pesante che inscena un perenne “vorrei ma non posso”, un desiderio continuamente frustrato che diventa presto struggente. Perché la mamma o la figlia dovrebbero stare con lui, perché mai dovrebbero dargli retta? I “non belli” hanno una vita sentimentale diversa, Brac la rappresenta senza inibizioni e a suo modo sfida un tabù. Però alla fine il regista il suo aspirante perdente lo risarcisce, costruendo un finale di rimborso per chiunque creda ancora nei sentimenti: perché l'incontro è controverso, ma c’è sempre anche la grazia. Il cineasta è già un ottimo direttore di attori: guardate la madre raffigurata in Laure Calamy, in perenne oscillazione tra l’odioso e il commovente, e ovviamente Macaigne che rende tangibile un personaggio memorabile e spaccacuore.

Tonnerre (2013) è il titolo-città del primo lungometraggio, che inscena guarda caso un incontro: quello di Maxime, per l’ultima volta Macaigne, un musicista che torna nella città natale del padre e lì si innamora di una ragazza molto più giovane, Mélodie col volto angelico di Solène Rigot. Guillaume Brac ha poi due altre passioni: il ciclismo e il documentario. Le mette insieme nel corto Le repos des braves (2016), girato con Nicolas Anthomé, che riprende un gruppo di ciclisti adulti alla fine del loro percorso sulle Alpi, facendoli parlare e registrando le storie. Per dire che anche il ciclismo è questione di cuore: gli atleti maturi raccontano il loro legame, il senso di riconoscimento racchiuso in quello sport, ma anche il tempo che passa.
A conferma inessenziale dell'amore per il cinema in sé, per il gesto di farlo e non per la soddisfazione dell’ego, il regista lavora spesso con i giovani: lo fa con gli studenti dell’Accademia nazionale di arte drammatica, con cui gira Contes de Juillet, unione di due mediometraggi (68 minuti) che costruisce una doppia storia d’amore con gli aspiranti attori del corso, ancora una volta ben diretti. Il genio di Brac ha ormai lasciato l’incubatrice e si prepara a spiccare il volo: un colpo d’ala è il documentario L'Île au trésor (2018), che inquadra il parco acquatico della sua infanzia alla periferia di Parigi con gli adolescenti e i lavoratori, le prime tentate tresche, e pone anche una questione razziale. Proprio come la pone quello che ad oggi è il capolavoro del regista: À l’abordage del 2020. Pochi elementi: un giovane nero passa una notte con una ragazza bianca, la vuole ritrovare nella sua località di villeggiatura, vi si reca con un amico nero che è Macaigne a razza invertita, e prendono il passaggio di un bianco. Da questi cenni Brac riscrive e aumenta Un monde sans femmes, conduce un gioco che è tanto esilarante quanto commovente, colloca due neri in vacanza coi bianchi (ecco la politica), spacca il capello dell’amore giovanile e conduce a un finale di bellezza ineffabile, che non si dimentica.

Un monde sans femmes di Guillaume Brac

Il cinema di Guillaume Brac viene generalmente accostato a Éric Rohmer. Nulla di sbagliato, intendiamoci, basti vedere le lunghe sequenze sulla spiaggia di Un monde sans femmes, una sorta di “un ragazzo, due ragazze”. E la vicinanza non fa che confermare l'influenza costante del magistero rohmeriano sul cinema, passato il centenario del maestro. Ma le ispirazioni di Brac sono anche altre. Dentro i suoi racconti c'è un film fondamentale che spesso cita, L'Âge des possibles di Pascale Ferran, ma anche un tassello centrale e ancora poco riconosciuto nel cinema francofono, L’età acerba di André Téchiné. E il film più istintuale e fiammeggiante di Olivier Assayas, L’eau froide. Insomma siamo nel terreno di quel cinema francese che raccontava gli adolescenti negli anni Novanta, periodo di formazione di Brac e di innamoramento per la cinepresa: quel cinema che i ragazzi li trattava senza edulcorazione, in modo obliquo, sfrangiato, attraverso una scala che andava dal riso al pianto, dal sesso alla morte. Sono loro i maestri di Guillaume Brac, che ritaglia quelle vibrazioni e le innesta nel contemporaneo, e come loro è un poligrafo del cuore.

Brac non è però un regista che si riassume nei suoi film. Non basta il racconto, l’analisi non esaurisce. Il totale non è la somma delle parti. C’è qualcosa di più e di meglio, un umore che si diffonde, una sensazione impalpabile che sfugge all’etichetta. Come diceva Anne Baxter in Eva contro Eva entrando per la prima volta nel teatro: “Sento un magico profumo”. Ecco, qualcosa di simile si può applicare alla visione dei film di Guillaume Brac, alla conoscenza del suo cinema: dentro c’è davvero un profumo magico. Brac riesce a cogliere esattamente i movimenti del cuore. Sa che la vita è un intrigo di incontri e battiti. Li rappresenta, ne sonda le oscillazioni e le mette in scena, qui all’improvviso, davanti a noi, in modo quasi insopportabile. Ma poi, appunto, ripaga i suoi falliti, i neri, quelli in sovrappeso: regala loro una carezza che è anche per noi. Guillaume Brac: se c’è un nuovo autore da vedere e amare è senz’altro lui. Se c’è uno sguardo da capire questo porta il suo nome. Un grande regista già oggi, che diventerà imprescindibile domani.

Autore: Emanuele Di Nicola
Pubblicato il 10/02/2022

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