Tre cuori

Tra involontari effetti comici e didascalie a non finire, il nuovo film di Jacquot si candida già come peggior film in concorso al festival di Venezia.

Una sera diversa da tutte le altre Marc (Benoît Poelvoorde) perde il treno per Parigi e incontra casualmente Sylvie (Charlotte Gainsbourg). I due passano la notte insieme e si danno appuntamento a Parigi ma lui, a causa di un infarto, non riuscirà a raggiungerla. Tempo dopo Marc si imbatterà in Sophie (Chiara Mastroianni) e se ne innamorerà, ignaro del fatto che - guarda caso! - proprio quella donna sia la sorella di Sylvie.

Romanzetto harmony? Soap ingigantita per il grande schermo? Involontario (s)cult dell’anno?

Già dalla sinossi appare chiaro come l’ultimo film di Benoît Jacquot sia basato su un meccanismo che più pretestuoso non si può, come se un’inoppugnabile (e prevedibile) (s)fortuna fosse sempre pronta a muovere i fili della storia e a vegliare sui protagonisti. 3 Coeurs, scandalosamente in concorso al festival di Venezia, nega qualsiasi spessore psicologico ai suoi pupazzi, condannandoli a una progressiva serie di assurde coincidenze. L’impressione è che ogni snodo narrativo della sceneggiatura sia costruito secondo l’inesorabile schema della sfiga sovrana (schema che, com’è ovvio che sia, crea un involontario effetto trash). Nella fantascienza psicologica in cui affonda, il film di Jacquot fa quasi tenerezza: perfino lo spettatore meno accorto sarà in grado di anticipare qualsivoglia colpo di scena molto prima che questo accada. D’altra parte la regia è così fiacca da abbattere il film fin dai primi minuti, fino ad arrivare a delle scelte formali a dir poco imbarazzanti.

Basterà passare in rassegna alcuni elementi di 3 Coeurs per comprendere quest’ennesima fiera del cattivo gusto. Il più lampante, per incoerenza di linguaggio, è la voice over onnisciente che compare gratuitamente dopo tre quarti d’ora di film. Arriva così senza preavviso da apparire come l’unico, imprevedibile colpo di scena dell’opera: tentata strizzatina d’occhio a Truffaut che non può che provocare un effetto comico disarmante, peccato che involontario. Intanto la macchina da presa si prodiga a mostrare sempre (solo) ciò che ci si aspetta di vedere, estranea a qualsiasi idea di fuori campo o linguaggio ipotetico. Ci regala, anzi, un esilarante ralenti prima della chiusura finale, miracoloso nel riuscire a rendere ridicola perfino Charlotte Gainsbourg. Anche dal punto di vista della colonna sonora gli effetti sono nefasti: un commento musicale che s’insinua dappertutto per aiutarci a comprendere che qualcosa di brutto, ma molto brutto, sta di nuovo per accadere. Bizzarre sonorità da thriller di bassa lega stonano inevitabilmente con i toni intimisti(si fa per dire) del film. E, per finire, due splendide attrici come Chiara Mastroianni e Charlotte Gainsbourg, si ritrovano così prigioniere di personaggi bidimensionali da non poter farci proprio nulla; per non parlare del personaggio della madre, interpretato da Catherine Deneuve, rigorosamente in scena solo per evidenziare la sua totale inutilità narrativa. Tutto questo, ovviamente, è contornato da rilevanti riferimenti alla crisi economica e battute memorabili (“La legge è uguale per tutti”), perché non c’è niente di più importante di stare sempre e comunque sul pezzo.

Cinema iperdidascalico, che sottolinea tutto, ma proprio tutto, ma finisce per non lasciare proprio nulla.

Autore: Samuele Sestieri
Pubblicato il 30/08/2014

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