Tokyo Love Hotel

Con sguardo intimo e poetico, Ryuichi Hiroki intreccia tra loro 12 personaggi tutti in un modo o nell’altro coinvolti con un albergo ad ore.

Per quanto i quartieri a luci rossi non siano certo un’esclusiva giapponese, per un occhio occidentale quella dei love hotel è ancora oggi una realtà tipicamente nipponica. Coppie illecite in incognito e innamorati storici in cerca di un brivido, clienti abituali e professioniste del settore sono solo alcune delle categorie che si alternano in queste stanze ad ore, dove al posto del cioccolatino sul cuscino troviamo appoggiato un preservativo pronto ad essere usato.

Con Tokyo Love Hotel Ryuichi Hiroki, già visto al Far East con il melodramma The Egoists, costruisce attorno a questa realtà un vasto racconto corale che vede interagire nel corso di una sola giornata sei coppie di personaggi, tra clienti, ragazze squillo e personale del Kabukicho Love Hotel, l’albergo ad ore dove ha sede tutta la vicenda. Nel corso delle 24 ore le varie storie si incastrano a più livelli, in un puzzle di circostanze casuali che pone ogni personaggio di fronte alcune scelte importanti. In generale ad accomunare i vari percorsi è la necessità di affrontare le sfide della vita e in particolare i cambiamenti, tenendo duro attorno alle cose più preziose che si ha avuto la fortuna di trovare. Una prospettiva umanista che Tokyo Love Hotel riesce a sviluppare con un ventaglio di esistenze che sembrano davvero strappate alla vita di tutti i giorni.

Del resto con una lunga carriera alle spalle da regista di pinku eiga (i film erotici softcore giapponesi), Hiroki può mettere a disposizione del film una conoscenza diretta del settore, ed effettivamente più volte la storia acquisisce un sapore documentaristico e diretto. Tuttavia ciò che veramente colpisce del film è la sua capacità di raccontare con intima delicatezza le vicende agrodolci dei suoi protagonisti, in un bilanciamento di registri gestito in maniera mirabile. Certo, 12 personaggi tutti ben sfaccettati sono tanti da seguire e tenere assieme, ed effettivamente il film rischia a volte di farsi troppo dispersivo e di far pesare la scrittura soggiacente, specie per via di alcune coincidenze di troppo che ruotano attorno all’hotel Kabukicho. Tuttavia arrivati alla fine la visione regala una coerenza e unità di fondo che fa perdonare la ventina di minuti di troppo e i pochi passaggi più forzati, lasciando anzi allo spettatore un messaggio di speranza privo di retorica spicciola e carico di emozione.

Autore: Matteo Berardini
Pubblicato il 27/04/2015

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