The Smell of Us

Lungi dall'essere eversiva o scandalosa, l'opera di Larry Clark riconferma una vena artistica ormai soffocata dalle personali ossessioni voyeuristiche del regista

Arrivati all’ennesimo film voyeuristico di Larry Clark iniziamo a farci qualche domanda: che fine ha fatto la linfa eversiva dell’artista che prima del cinema aveva raccontato in fotografia il decadimento della gioventù tossica, libidinosa ed estrema dell’America degli anni Sessanta? The Smell of Us è un’opera invecchiata, autoreferenziale e piena di sé che nulla ci dice di quel mondo interiore segreto che il regista vorrebbe svelarci a costo di ogni shock. Sullo schermo rimangono solo le ossessioni personali di Clark, mai così esasperate come ora. Macchiette cinematografiche che possono oramai trarre il plauso o degli ingenui che non hanno mai visto o conosciuto la perdizione adolescenziale tra alcool, droga e sesso sfrenato, o di chi pensa che la vera arte debba essere scandalosa.

Non che questo poi non possa essere necessariamente vero, ma appunto il problema è che lo shock inseguito in The Smell of Us si è esaurito in un nulla di fatto, nel puro piacere del tradurre in immagini i giovani corpi angelici e luciferini impegnati in orge infinite. La trama stessa del film è solo un’espediente per mettere in scena l’orgasmo provato nel vedere esseri tanto giovani e apparentemente innocenti in sequenze demoniache. I personaggi di Clark come al solito vanno a letto con chiunque, si fanno pagare dagli adulti in cambio di prestazioni sessuali, strafacendosi, con a disposizione pochi preziosi momenti per uscire dalla recita dell’assoluta sregolatezza e rivelare le proprie fragilità.

Math e Jp sono inseparabili nel loro prostituirsi e drogarsi, benché il secondo venga reso molto più vulnerabile dalla segreta passione che nutre per il bellissimo, ormai freddo e apatico amico. Intorno a loro amici e feste, giornate passate sullo skate, il sesso consumato rapidamente senza alcun interesse per il partner del momento. Tra questi l’alter ego del regista, un ragazzo perennemente occupato a riprendere visi, amplessi e bravate del gruppo, in una sorta di autocitazione autoriale. Una storia che in mano a Gus Van Sant avrebbe potuto essere forse un’opera ben più interessante diviene qui scusa per far godere gli occhi della bellezza fisica dei giovane e del decadimento degli adulti, rappresentati come cannibali degradati che si nutrono famelica della carne fresca dei ragazzini.

Non è infatti il tema di The Smell of Us a infastidire, ci mancherebbe altro; non si vuol biasimare ogni racconto della gioventù moderna, del suo venir violentata da una società che alternativamente la sfrutta e la adula : è la palese disonestà di un regista che pretende di denunciare la fascinazione morbosa verso gli adolescenti rendendosi però lui stesso in primis responsabile di produrre immagini oscene al solo scopo di masturbare l’occhio dello spettatore. Non c’è denuncia, solo l’estasi visiva del torbido, un sentimento che si ci sente in dovere di rigettare per non perpetuare noi stessi lo stesso atto di sfruttamento. L’immagine non è mai semplice, né univoca: descrivere un dramma non significa necessariamente rendergli giustizia, e certo in The Smell of Us appare nitida la volontà di farsi complici, piuttosto che freddi osservatori, della realtà proposta: una scelta a cui personalmente rifiutiamo di piegarci.

Autore: Veronica Vituzzi
Pubblicato il 05/09/2014

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