Roma 2015 / Lo chiamavano Jeeg Robot

L'opera prima di Gabriele Mainetti è un turpiloquio imperfetto ma funzionale, volutamente trash ipnoticamente pulp

Immaginate la follia cinematografica anarchica di un Miike nato a Roma, ci riuscite? Certo che no. Pensate al genere pulp condito all’amatriciana, lo avete presente? Non credo, e son convinto che continuate a non capire - oppure a non crederci. Lo chiamavano Jeeg Robot, opera prima di Gabriele Mainetti è un film talmente tanto incredibile e pazzesco, inverosimile, folle e divertente che pensarlo vero e realizzato – soprattutto in questo nostro preciso periodo storico produttivo - è davvero un miracolo. Film sotto certi aspetti imperfetto, ingenuo sul piano espositivo, naif sul quello realizzativo, a volte troppo didascalico nella scrittura di alcuni dialoghi, ma totalmente fuori dal comune, in una parola: unico.

Enzo Ceccotti (un misantropo Claudio Santamaria gonfio e tronfio) è un ladruncolo romano che staziona a Tor bella monaca, a seguito di un inseguimento con la polizia riesce a fuggire immergendosi nelle torbide acque del Tevere. Immerso in una tanica di materiale radioattivo sul fondo del fiume, ne uscirà più forte che mai, pronto ad usufruire dei suoi poteri per la sua non fulgida carriera criminale.

Un film che s’infiamma come una cometa ad Agosto, fuori tempo massimo per indirizzare i magi verso la natività. Mainetti si diverte – e diverte – con il genere supereroistico contaminandolo di scorie acide e radioattive, passando tra i più variegati registri, dal comico, al tragico, al gore, al sentimentale, al demenziale, al criminale, al revival – assorbendo da tutti e non adottandone fedelmente nessuno. Se da un lato questo preciso aspetto di trasversalità cadenza il ritmo della narrazione sorprendendo ad ogni momento lo spettatore, dall’altro, purtroppo o per fortuna, non lascia punti di riferimento, perdendosi nella mole suggestiva delle situazioni. Da Jeeg Robot d’acciao alla musica italiana anni ’80/’90, da teste e dita mozzate a sanguinose uccisioni attraverso Iphone, dalla mafia napoletana allo stadio Olimpico pronto ad esplodere durante il derby, nella sceneggiatura di Menotti – Guaglianone c’è di tutto e di più. Con un occhio al cinema ed al fumetto americano (Kick-Ass di Millar) e l’altro al senso del grottesco anarchico di matrice nipponica, Mainetti condisce in salsa trash un piatto cucinato usando dosaggi pulp. Lontano anni luce dalla trasparenza educata di Salvatores, il regista confeziona un prodotto a tratti davvero molto divertente, genuinamente maleducato, non certo il primo esempio di supereroe italiano – andrebbe qui ricordato il buon Dorme di Eros Puglielli – che qui si carica sul corpo debordante di un Santamaria bene in grado di trasportare la pesantezza dell’acciaio del personaggio di Go Nagai. Un antieroe misantropo che scopre, attraverso l’ingenuità femminile e la fantasia squilibrata, la missione filantropica dell’eroe. E se i personaggi a volte fuggono traboccando dall’interno delle loro caratterizzazioni, volgendo spesso verso un’anarchia interpretativa, il villain di turno, Luca Marinelli, si presta ad un’interpretazione totalmente fumettistica, pupazzesca come gli stessi caratteri criminali anti-eroistici che a Roma si danno battaglia. Quando la popolarità viene conteggiata da youtube, e mentre sulla città si disegnano le improbabili gesta del supercriminale mascherato, la tecnologia contemporanea diventa il medium ideale per aumentare la popolarità e per riprenderne le gesta, ci sembra così di assistere ad un video virale invasato realizzato per una massa di utenti altrettanto invasati. Da sottolineare anche l’interpretazione di Ilenia Pastorelli che interpreta una giovane ragazza afflitta e fusa dalle nefandezze della vita passata in borgata, totalmente fuori di testa, ma credibile nella sua follia e che ben dialoga con il personaggio interpretato da Santamaria, regalandoci forse le migliori scene e dialoghi comici dell’interno film.

Passati primi venti minuti e sospendendo la credibilità oltre l’inverosimile, una volta entrati nel mood opportuno, il film diverte, trascina e spiazza, un corpo filmico diverso dalla solita programmazione festivaliera, originale ed audace nella sua rappresentazione, soprattutto se lo si considera all’interno del contesto cinematografico italiano attuale.

Autore: Giorgio Sedona
Pubblicato il 17/10/2015

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