Roma 2015 / Girls Lost

Avvalendosi di un adolescenziale stile fantasy, il film di Alexandra-Therese Keining affronta le angosce di una sessualità confusa limitandosi a metterle in scena

Momo, Bella e Kim sono amiche da sempre. Arrivate all’adolescenza, iniziano a essere perseguitate a scuola per la loro diversità, legata al non seguire i tradizionali modi di essere femmine: ogni giorno è una sfida di sopravvivenza, fra prese in giro, cattiverie, aggressioni, un inferno quotidiano di botte e minacce completamente ignorato dai loro genitori. Ma un giorno le tre ragazze, dopo aver piantato nella loro serra un misterioso seme di cui ignorano la provenienza, scoprono che il nettare della strana pianta nera che ne è spuntata può temporaneamente trasformarle in maschi. Alla nuova eccitante libertà si aggiunge però una graduale consapevolezza sul reale significato della loro identità, mettendo in crisi l’amicizia del trio.

Girls Lost si avvale come le sue protagoniste di una confezione esterna fantasy che facilita l’approccio del pubblico. Il tema della magia funziona come metafora narrativa per trattare il desiderio infantile e adolescenziale di poter modificare l’irreversibile, e vivendo letteralmente delle trasformazioni che sottendono un senso concettuale. Diventare maschi significa per Kim, Bella e Momo non dover essere donne, o meglio, non dover essere belle, attraenti e sottolineare la propria desiderabilità, oltre che essere deboli e poter essere aggredite in qualunque momento in nome della loro sessualità. Il mondo adolescenziale in cui vivono sembra essere dominato dai ragazzi – a parte le protagoniste le altre ragazze nel film sono delle pure comparse – pertanto non può che apparire legittimo il desiderio di assumerne il ruolo vincente implicitamente confermato perfino dalle insegnanti. Se per Bella e Momo la pelle di cui si vestono rappresenta solo un travestimento, per Kim l’essere un ragazzo diviene la manifestazione esterna della sua vera identità.

In questo tempo di deliri sul temibile complotto gender, Girls Lost appare il compendio di tutti i naturali conflitti sessuali vissuti durante l’adolescenza: l’accettazione della propria identità sessuale, la lotta contro gli stereotipi culturali di genere, il problema di stare bene nel proprio corpo e la confusione sentimentale. Pur apparendo esternamente come un prodotto diretto a un target giovanile – la storia deriva dal romanzo young adult di un autrice svedese, Jessica Schiefauer – il film diventa gradualmente un racconto drammatico sulla sofferenza di Kim per il proprio stato ibrido. Essere un maschio produce in lei una fascinazione violenta che la spinge a sperimentare le azioni più pericolose, allontanandola dalle sue amiche, ed è nella sua vicenda che è presente la materia narrativa principale di Girls Lost. Il problema della regista Alexandra-Therese Keining sta nel mal gestire una trama sempre più eccessiva, ribollente delle pulsioni brutali di Kim che ama, desidera, odia, picchia e mente. Il rischio è di non riuscire più a seguire la storia, ricevendone in cambio la sensazione di una visione del mondo maschile estremamente negativa e per questo assai limitata. Essere un ragazzo sembra infatti essere una cattiva persona, libera solo in quanto incapace di trattenere i propri istinti più animali. Forse allora il vero dramma di Kim sta più nel sentirsi “cattiva” che “maschio”.

Girls Lost non affronta questo equivoco culturale, lasciando i suoi personaggi annegarvi dentro in una sequenza di scene appassionate ma poco approfondite. Ciò che il film offre è la presentazione dei fattori di un problema, non una riflessione su di esso: ma la confezione giovanile, la dimensione fantastica e il fatto stesso di descrivere sentimenti universali ma ancora poco analizzati – si veda il delirio gender sopracitato – costituiscono una gradevole pelle esterna che sa nascondere i problemi dell’opera.

Autore: Veronica Vituzzi
Pubblicato il 24/10/2015

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