Roma 2013 / The Incomplete

Klaus Johannes Wolf è a letto, nudo e ammanettato. Catene gli serrano polsi, caviglie e collo tramite collari, mentre una piccola gabbia metallica gli avvolge il sesso scoperto. Klaus è uno schiavo e lo dichiara da subito alla camera, rispondendo alla prima domanda che sentiamo posta da Jan Soldat, il giovane regista di The Incomplete. Klaus ha sessant’anni ed è uno schiavo, e questa è la sua storia.

Vincitore del Concorso CinemaXXI per i corti e mediometraggi, The Incomplete nasce dalla volontà del giovane regista tedesco di indagare non tanto la vita quanto lo spirito di Klaus, il modo in cui si sente e vive nel mondo attraverso la sua supposta anormalità. Un soggetto delicatissimo, che Soldat riesce a raccontare con un’umanità e rispetto non solo estremi ma evidentemente espressi dalle scelte di messa in scena. Il primo aspetto che colpisce nella visione di The Incomplete – anche più dell’esplicita nudità del suo protagonista – è la precisa volontà di Soldat di deludere i desideri più pruriginosi dello spettatore: Klaus non è un soggetto alieno sul quale riversare la nostra curiosità, bensì un uomo da conoscere attraverso un’immagine che sia la più neutra possibile. Per questo in tutto il documentario domina la continuità nella costruzione dell’immagine – perennemente in quattro terzi, a bassa risoluzione e in campo medio – studiata per evitare ogni spettacolarizzazione e infiltrazione semantica da parte dello sguardo macchina. E’ solo Klaus a parlare e commentare, mentre Soldat cerca di sparire nella ricerca di una neutralità che permetta l’umanità e il rispetto citati.

All’interno di un regime registico così rigoroso Soldat segue Klaus in alcune esperienze della sua vita. La prima parte è dedicata al rapporto che ha con un suo “cliente/collega/partner”, cui si offre nella sua piena disponibilità una volta a settimana. Successivamente lo vediamo iscriversi e seguire una scuola per implementare la propria capacità servile, nella quale subisce umiliazioni e vessazioni atte a renderlo un servo migliore. Soldat riesce a seguire Klaus in queste esperienze ma i suoi sono solo rapidi scorci, non ricostruzioni. Ancora una volta The Incomplete non è interessato a indagare l’intimità di Klaus, le sue abitudini e routine, ciò che lo spinge o che in passato possa averlo “traumatizzato” e portato ad una vita anormale. Soldat entra in relazione con Klaus in quanto uomo e non soggetto clinico, e per questo gran parte del film verte sui racconti famigliari dell’uomo, che rievoca le sue esperienze in una comunità religiosa e i ricordi di famiglia. Ci sono elementi che possiamo definire di “interesse psicologico” – un nonno sadico e un padre generale nazista – ma nessuno di essi esce dalla sua sfera memoriale per farsi indizio o traccia di un’anormalità. Nonostante la sua giovane età Soldat si rivela un regista dall’impressionante consapevolezza etica dell’immagine e del racconto, capace di mettersi al servizio di Klaus per offrigli l’occasione di raccontarsi senza che questi diventi mai un caso umano soggetto di studio. Il risultato è un prodotto filmico davvero notevole e affascinante, del quale non possiamo che condividere la premiazione.

Autore: Matteo Berardini
Pubblicato il 15/10/2014

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