Roma 2012 / Eterno ritorno: provini

Dopo Suspension of Disbelief troviamo in questo festival un altro film che nega sé stesso nel suo nome, sineddoche imperfetta di un tutto che non torna come sembra. Eterno ritorno: provini è infatti un duplice gesto di affermazione e negazione del principio filosofico nietzschiano che vuole tutto l’essere condannato ad una costante perpetuazione. Kira Muratova – storica esponente del nuovo cinema russo attiva fin dagli anni settanta – afferma infatti che sì, preso un sistema finito in un tempo infinito tutte le combinazioni delle variabili presenti in esso verranno ripetute in eterno, ma anche che tale principio non vale e non può valere per il cinema.

Rifacendosi apertamente ad Esercizi di stile di Raymond Queneau, la Muratova imbastisce un film nel film, con tanto di produttore e finanziatore a discutere mangiucchiando davanti ad un proiettore, con l’unico particolare che il film che vive nel secondo livello di diegesi è un mero collage di provini. Una signora un giorno si vede arrivare alla porta un vecchio compagno di corso, che non incontra da dieci anni; l’uomo le confessa di essere lì per un consiglio, essendosi innamorato di un’altra donna pur continuando a provare sentimenti fortissimi anche per sua moglie. Diviso tra le due passioni, l’uomo non sa cosa fare e per questo è partito in un fittizio viaggio d’affari, sperando di trovare nel tragitto una risposta al suo problema. Dopo di ciò un altro uomo entra in un’altra stanza di un’altra donna, e le spiega che pur non vedendola da dieci anni… e così ancora, in un gioco di cambio di attori e di scenografie che potrebbe perpetuarsi all’infinito se quei due di prima, produttore e probabile finanziatore seduti in poltrona, non decidessero di porvi fine.

In apparenza Eterno ritorno: provini è un raffinatissimo omaggio registico all’arte dell’attore e della recitazione. Impostando una cornice estetica tanto semplice quanto elegante, la Muratova costruisce un ambiente che gioca sulla dialettica tra costanza e variazione, caricando di senso gli oggetti sopravvissuti alle nuove narrazioni (i rotoli di corda, il quadro, il televisore Samsung) e lasciando libera di improvvisare e creare una squadra di attori davvero formidabile. Avvolto da uno splendido e soffuso bianco e nero, Eterno ritorno: provini è la ripetizione costante dell’identico presentato sempre in forma diversa. Ed è in quest’aspetto che il film nega sé stesso, superando la sua natura nietzschiana per aprirsi ad una dialettica di stampo hegeliano. L’elemento chiave di tale rovesciamento sta nel motivo che anima i protagonisti della narrazione più esterna a presentarci il collage di provini, ovvero la morte del regista e il tentativo di portare comunque il film a compimento. Produttore e finanziatore infatti studiano il girato per capire se sarà possibile chiudere la pellicola anche senza il suo autore, ostacolo che pare insormontabile data la precisa visione artistica del creatore scomparso. Sotto le spoglie di un omaggio alla recitazione, la Muratova realizza quindi un’opera che ribadisce con fermezza l’importanza dello sguardo nella relazione occhio-oggetto che si istaura all’interno del dispositivo cinematografico. La macchina cinema è fortemente dipendente da chi la manovra e non sarà mai neutra, non può registrare passivamente la realtà senza apporre filtri, ed è quindi quest’assenza di oggettività assoluta a giustificare e comportare il costante variare della stessa materia di base ad ogni provino. In questo senso il cinema si afferma come arte hegeliana per eccellenza, nella sua capacità di ripresentare l’identico pur creandone un’obbligata variazione, sciogliendo la dicotomia tra stasi e movimento in un flusso dialettico di immagini cangianti.

Autore: Matteo Berardini
Pubblicato il 22/01/2015