Roma 2012 / Benur – Un gladiatore in affitto

Chissà se è vero. Chissà se le cose stanno veramente così. Da un principio ineludibile occorre partire: a differenza dei film in Concorso, Prospettive Italia – sezione in cui questo Benur – Un gladiatore in affitto si presenta fuori concorso – non ha il compito di proporre film di qualità (principio vago ma al contempo con chiare coordinate), bensì quello di indicare i percorsi in fièri del cinema nazionale, le sue tendenze future appena palpabili nell’immediato presente. Il cinema che verrà, stante alcuni indizi già carpibili oggi. Il dubbio qui sollevato è quanto mai cruciale poiché prevede delle pieghe sinistre, decisamente atroci. Difatti Benur, la commedia teatrale e farsesca diretta da Massimo Andrei, per molti versi è connotato da un cinema desueto e di qualità assai mediocre. L’opera non solo respira i vapori di tante commedie del Bagaglino condite dal chiasso di un cinepanettone, ma propone dinamiche e strutturazioni classiche per non dire stantie, proprie di una commedia dell’arte d’antan oramai logorata per utilizzi e priva d’ispirazione.

Sergio è un ex stuntman di Cinecittà a cui una scena d’azione di troppo ha compromesso la carriera. Da allora fa il centurione a beneficio dei turisti al Colosseo, per una professione tanto trash quanto popolare come solo l’Italia sa confezionare. Sergio vive con la sorella Maria e i due sono eternamente in bolletta. Gli stereotipi della commedia di costume rivendicano la loro attinenza e allora i due non possono esimersi dall’essere fan accaniti di Francesco Totti, vivere nel sottoproletario Laurentino 38, condurre una linea telefonica hot in cui Maria – mentre svolge lavori domestici – dice sconcezze all’utente di turno. Come non può mancare Er Zanzara, losco figuro che proporrà un extra-comunitario a Sergio il quale tenendolo in casa gioverà dei suoi lavori. Così l’ex stuntman ospita l’ingegnere bielorusso Milan (un fantastico Paolo Triestino, l’unico all’altezza della prova) che per sbarcare il lunario lavorerà per – e al posto di – Sergio. In questa fiera dello stereotipo i percorsi procederanno prevedibili e chiassosi, dove la cifra politica e interculturale pur sondabile nella pellicola si perderà con noncuranza nel baccano di un film recitato sempre sopra le righe e al di là dei decibel sopportabili.

Ma quindi, tornando alle osservazioni fatte in apertura, è questo manchevole Benur il cinema italiano a venire? Nessuno può dirlo con esattezza, ma siamo dell’opinione che le scelte della direzione artistica qui abbiano peccato di disinteresse e poca curiosità per il cinema nazionale che ci circonda, con tutte le sue problematiche e potenzialità. Credere che Benur con la sua carica tradizionalista, macchiettistica e urlatrice sia una possibile chiave di volta del futuro cinema italiano significa non rendere merito all’operato di tanti registi, da Claudio Giovannesi ai fratelli De Serio, da Cosimo Terlizzi a Guido Lombardi. C’è molto di meglio.

Autore: Emanuele Protano
Pubblicato il 22/01/2015