Mad God

di Phil Tippett

Il primo lungometraggio di Phil Tippett vede la luce dopo trent’anni di progettazione, tra ripensamenti e interruzioni. Un’opera labirinto, respingente e colma di forze contraddittorie, che guarda al cyberpunk come al decadentismo senza trascurare Giger, Cronenberg e Lynch.

Mad God - recensione film Tippett

Trionfa la morte in Mad God, dal primo all’ultimo impulso, dalle parole del testo del Levitico all’ultimo corpo perforato, maciullato, imploso, scartato e, oltre ancora, fino all’ultima scheggia impazzita che attraversa l’occhio di chi guarda. Una danza macabra in tre atti che fagocita ogni speranza e che travolge il tutto svuotandolo di certezze e significati, come si vede nel dipinto di Pieter Bruegel il Vecchio in cui i toni caldi evocano un’atmosfera arida e infernale. Qui invece, nel primo e atteso lungometraggio di Phil Tippett (il progetto nel corso degli ultimi trent’anni ha subito interruzioni e ripartenze), i toni sono freddi, riflesso di elementi ferrosi che convocano la presenza di macchine devastatrici, automi in putrefazione, protesi mutanti che dominano un mondo giunto al collasso, inquinato dalla miseria e dalla disperazione, sfiancato dalla crisi del tempo e dal crollo di ogni ideologia o paradigma di senso. Un mondo di mostri e scienziati pazzi che Tippett compone seguendo uno spartito notturno cupo, privo di consolazione, corrotto e allucinato che irrompe anzitutto nelle convinzioni dello sguardo trafiggendone il suo impianto emotivo e sovvertendone le dinamiche più angoscianti della narrazione dell’immaginario distopico.

La discesa verticale e irrefrenabile nelle viscere di questo mondo oscuro è nient’altro che la proiezione delle inquietudini del terzo millennio, un moto verso il basso ottenuto mescolando visionarietà organica, meccanica cyberpunk, decadentismo e irrazionalità ma è anche un maestoso affresco delle attrazioni capace di coniugare forze contraddittorie e respingenti, genesiache e devastatrici, che violano qualsiasi garanzia di protezione. Un’estetica del brutto, per dirla con Rosenkranz, in cui il brutto si presenta come manifestazione che nega o limita la libertà attraverso l’asimmetria, la difformità o l’assenza di forma, lo sfiguramento ma che non si nasconde dal celebrare modelli e costanti come il cinema di Cronenberg o le macchine di Giger, come Lynch e Bacon, esaltando con amara ironia la fragilità della condizione umana.

Mad God è tutto improntato sugli effetti che genera nello sguardo, sul ricordo del dolore che resta, più che sugli effetti di come lo mostra: attrae e respinge, racconta e interrompe, penetra e espande. Un film spezzato nella sua struttura ma forte dell’energia che accumula per spingere lo spettatore dentro ad un trip allucinato, un viaggio lisergico e sadico, una perfida ossessione splatter con il preciso intento di saturare l’occhio e rendere traumatica la visione e l’esperienza spettatoriale, oggi sempre più impoverita e data per scontata, sempre più contaminata da una forma di atarassia dello sguardo che pare cancellare ogni forma di resistenza al turbamento della separazione dal senso. Realizzato prevalentemente in stop-motion, tecnica integrata con effetti speciali e digitale, il film animato di Tippett (affiancabile al suo cortometraggio Mutant Land, soprattutto nell’epilogo della prima parte quando l’esploratore viene inghiottito inaspettatamente da un mostro) è un’opera abnorme che guarda al dissolvimento di ogni forma di fiducia umana interrogandosi sulla presenza di qualcosa o qualcuno che regola l’universo con indifferenza ma orientando il tutto verso il suo dissolvimento. Mentre gode del suo essere ripugnante Mad God elabora una fenomenologia del putrido che apre un inquietante sguardo verso ambigui e multiformi aspetti del reale. Assuefatti da tanta bruttezza ci ritroviamo sedotti e abbandonati in un incubo senza fine.

Autore: Matteo Mazza
Pubblicato il 27/07/2022
USA, 2021
Regia: Phil Tippett
Durata: 83 minuti

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