Nuit de chien
L'ultima opera dello scomparso Werner Schroeter possiede una teatralità esasperata che congela le emozioni.

Nella città inventata di Santa Maria una battaglia fra anime si agita sopra le macerie della guerra che si è scatenata fra l’ex governo e il gruppo di dissidenti capitanati dal Generale Fraga: mentre la polizia segreta diffonde il terrore, e la resistenza militare cerca di mantenersi unita contro l’assalto dei ribelli, il Colonnello Luis, rinomata icona politica, corre per i quartieri assediati alla ricerca dell’amata Clara. L’uomo la insegue in tutti i locali dove presume possa essere, imbattendosi nei vecchi compagni di lotta, pronto a tutto per ottenere i biglietti per l’unica nave che di lì a poco lascerà il posto: ed è questa, nello sguardo di Werner Schroeter - qui alla sua ultima fatica cinematografica prima della morte avvenuta nel 2010 – una discesa coreografica nell’umana perdita di ogni illusione, annichilita dal puro istinto di sopravvivenza.
Nuit De Chien è, in effetti, pregno di una teatralità quasi morbosa, ed è in questo giungere alle soglie della verosimiglianza, teso a tramutare i personaggi in topoi narrativi, che sta il limite intorno cui l’opera ondeggia fra passione e artificiosità, decretandone l’esito incerto, ma più vicino all’insuccesso. Il sentimento che trascende dalla pellicola è irrimediabilmente raffreddato da uno stile scenografico che cristallizza le figure nelle loro artefatte ambientazioni. Ciò non toglie che la maestosità che se ne riflette possa attrarre gli occhi, soprattutto quando accompagnata al gusto per il morboso, generato dall’idea di sacro e carnale: corpi torturati, brutalmente assassinati, donne candide dai vestiti insanguinati, in un martirio umano che riecheggia il supplizio di Cristo.
Certo, l’enfasi narrativa potrebbe derivare anche dall’origine letteraria del soggetto cinematografico , adattato dal romanzo di Juan Carlos Onetti Per questa notte; dove al potere delle parole il cinema sostituisce prestigiosi brani di musica classica e melodrammi a sostegno di un’intelaiatura melodrammatica. Ogni scena è un’esibizione su un palcoscenico personale, di volta in volta avvolto da un’intensità musicale differente, teatro in cui l’emozione del recitare sormonta la verità dei personaggi. Il rischio di questo discorso è l’ovvia delegittimazione di ogni tono enfatico, ed è per questo che ci si affretta a chiarire che non è l’intenzione drammatica del lavoro di Werner Schroeter ad avvicinarlo al fallimento, ma l’eccessiva spinta verso un avido gusto estetico a prevalicare le piccole storie di vite contenute nel film. Come sequenza di tableaux vivants è un ottimo, per quanto didascalico, esercizio di stile, ma l’impoverimento emotivo, mal nascosto dalla minuzia scenica, rende poco giustizia all’evoluzione narrativa che una lunga fuga notturna in una città al limite dell’anarchia farebbe immaginare: cose come la facile resa dell’uomo comune alla legge della giungla, la celebrazione della libera violenza e le poche voci resistenti rimaste, tutto un divenire umano che l’opera sorvola di sbieco, tutta concentrata sulla propria apparenza. Si conserva soltanto, sullo sfondo di Nuit De Chien, una visione appassionata dall’immagine e dal gesto umano, e la forte considerazione della costruzione spettacolare, che fanno appello a un’idea di cinema certamente più efficace in altri contesti.