Notre musique
Notre Musique è una foresta di simboli che sconvolge chi la attraversa, cinema modernissimo che da Dante arriva a Joyce, allegorico e poetico, concreto e astratto, documentario e di finzione.

Godard è forse il regista per eccellenza: catalizzatore di immagini, architetto di visioni ed esperienze. Inesauribile ed intransigente, il suo linguaggio costituisce un continente a parte nel cinema mondiale, la cui principale vocazione è la liberazione dello spettatore. Liberazione dalla posizione passiva a cui è inchiodato dal cinema commerciale; liberazione dall’ideologia e dal consumo inconsapevole; liberazione dall’aritmia intellettuale e politica in direzione di un umanesimo totale ed assoluto.
Umanesimo che, forse, mai ha raggiunto i livelli di intertestualità, citazionismo ed iconoclastia che sono stati toccati in Notre Musique. Film quanto mai impossibile da conchiudere nello spazio di un testo: il testo è arrogante, ci dice Godard, e l’immagine è necessaria per capire e scoprire. Come attraversare un film come questo, un saggio che sfugge a qualsiasi gabbia semantica o rassicurante convenzione? Ha forse senso cominciare delimitando un percorso. Il film è strutturato in tre atti che ricalcano quelli danteschi della Divina Commedia. L’Inferno: la guerra in tutte le sue forme, elaborata in un furioso montaggio che intreccia le immagini delle guerre mondiali con quelle del cinema spettacolare, la morte reale con quella fittizia, il cinema di propaganda con il sangue di Sarajevo. La voce narrante legge un passo dello Spirito delle Leggi di Montesqieu (una delle innumerevoli citazioni e voci che accompagneranno lo spettatore nel corso del film): “dopo le inondazioni e le piogge, gli uomini strisciarono fuori dalla terra e si sterminarono tra loro”. Vediamo uomini emergere dal mare, fucili in pugno. Altri uomini (e animali) vengono invece sommersi.
A questo punto, Godard ci ha impercettibilmente, gradualmente, traghettati al di là del mare, verso un Purgatorio che costituisce la gran parte del minutaggio del film. Il purgatorio è Sarajevo, città che ha ben conosciuto l’inferno e spera di raggiungere un possibile paradiso. Ed è in questo territorio, in questa città di cemento che ha perso la propria storia, che è possibile una ricostruzione, un dialogo, un ponte per ricongiungere i conflitti e le diversità. In particolare, Godard si concentra sul conflitto più contradditorio del nostro tempo, quello che più ha mostrato i limiti della parola e della reciproca comunicazione: quello tra israeliani e palestinesi. Una giornalista arriva in città e cerca di capire, in questo luogo che ha conosciuto la morte e l’orrore, la natura del conflitto; una ebrea di origini russe, Olga, partecipa a un seminario dello stesso Godard (una lezione su “L’immagine e il testo” realmente tenuto e qui ricostruito) e si decide a diventare martire per la pace in Medio Oriente; uno scrittore torna nella vecchia biblioteca di Sarajevo, ridotta a una carcassa incenerita; dei nativi americani smarriti si aggirano per la città. Gli americani torneranno, infine, nella terza sezione del film, il Paradiso soffocante e circondato da reticolati e soldati. Olga entrerà in un paradiso grottesco e senza vita dopo aver ottenuto il lasciapassare dell’esercito USA; l’amara ironia di Godard ci suggerisce la futilità del sacrificio passionale e la necessità della comprensione, del disvelamento degli inganni.
Perché la guerra è incomprensione e inganno. Lo abbiamo visto nelle prime immagini, quando il cinema e le immagini dal fronte si sono fuse in un unico territorio dal medesimo linguaggio. Linguaggio che accomuna i “buoni” e i “cattivi”, nazisti e alleati. La verità ha sempre due facce, in questo nostro mondo, sotto la nostra umana musica del purgatorio, imperfetto e transitorio. Nel corso del seminario che Godard tiene per noi e per il suo uditorio confuso – il vero nucleo del film – non facciamo che tornare su questo nodo. Il campo-controcampo di un film di Hawks ci dimostra la banalità dell’appiattimento del reale che nega la differenza tra un uomo al telefono e una donna al telefono. Una dissertazione sulla visita di Bohr ed Heisenberg al castello di Elsinore ci ricorda che il suo vero volto è quello del castello di Amleto, della creazione letteraria e simbolica. Verità e contro-verità: campo e controcampo. In questi termini, il regista inquadra il conflitto asimmetrico per eccellenza, quello tra israeliani e palestinesi. I palestinesi sono il controcampo di Israele, in quanto esistono solo come riflesso di questi ultimi, come antagonisti di un protagonista della Storia che è emerso dalle acque del 1948 con i fucili in pugno. Israele è dunque la finzione e il potere, mentre la Palestina è il documentario, il contro-potere.
Ci sentiamo dire che, per un carnefice, è sufficiente indicare un carnefice più grande per diventare una vittima. Sentiamo dire moltissime altre cose, spesso citazioni letterarie, poetiche e filosofiche che si confondono in un fiume Debord-ante, eccessivo, di lettere. Ma le parole non bastano: spesso le sentiamo pronunciare senza conoscere il senso, senza cogliere la citazione. Spesso sono pronunciate da personaggi fuori campo o di spalle. Le immagini stridono con le parole, ci raccontano una storia diversa: non si può comprendere Amleto senza Elsinore, e viceversa. Per capire Israele, siamo dovuti andare a Sarajevo, e da lì fino al ponte di Mostar, ricostruito da serbi e bosniaci dopo una guerra che li aveva portati ad azzannarsi reciprocamente alla gola. Il cinema di Godard, mai così chiaramente, è una debordiana critica della separazione.
Notre Musique è una foresta di simboli che sconvolge chi la attraversa, cinema modernissimo che da Dante arriva a Joyce, allegorico e poetico, concreto e astratto, documentario e di finzione. Il suo cinema è paradossale, a partire dalla contraddizione tra l’intento di emancipare lo spettatore e il linguaggio enciclopedico, a tratti inaccessibile. Il rigore è comunque necessario; la verità necessita di ricerca e pazienza, come il personaggio della giornalista Judith Lerner incarna [1]. La scorciatoia della violenza, del martirio e dello scontro passionale è destinata alla futilità. Ma non sappiamo se l’approccio alternativo sia realmente efficace, se abbia un senso. Questo è l’ultimo grande campo-controcampo di Notre Musique, sospeso e aperto quanto il titolo enigmatico del film. Sta allo spettatore, come sempre in Godard, riempire gli spazi vuoti e inseguire le tracce di senso tra un’immagine e l’altra.
[1] Come sempre, in Godard la scelta dei nomi non è casuale. Lerner: che impara, che apprende. Per un approfondimento in questo senso (nonché per un’analisi estremamente approfondita del film in generale), rimando a http://jclarkmedia.com/film/filmreviewnotremusique.html