Love - Terza stagione

La serie Netflix prodotta da Judd Apatow chiude il suo racconto di un amore, tra autenticità e autobiografia.

Non c’è dubbio che il successo e l’esistenza stessa di Love siano profondamente correlati a una serie di tendenze dell’intrattenimento contemporaneo, rispetto alle quali la serie prodotta da Judd Apatow si situa a un crocevia di movimenti, correnti artistiche e cambiamenti culturali che la rendono specchio piuttosto fedele dei nostri tempi, sia da un punto di vista estetico che narrativo.

Prima di tutto, Love opera una sorta di sistematizzazione delle principali inclinazioni della commedia americana contemporanea (senza particolare distinzione tra cinema e televisione), le cui parole chiave sono autobiografia e autenticità; l’una la conseguenza dell’altra, sono parole-simbolo di un modus operandi molto diffuso tra autori e autrici in questi ultimi anni che, pur non presentando soluzioni in discontinuità con la tradizione, trattano i propri personaggi con una sorprendente sincerità e spesso ricorrono alla sovrapposizione dei ruoli di interprete e di autore che sia in campo femminile che in quello maschile crea nuovi e stimolanti livelli di lettura.

All’autenticità di messa in scena e narrazione si affianca infatti la tendenza da parte di registi e sceneggiatori a raccontare la propria vita, mettendo in scena in maniera più o meno dichiarata vicende di natura strettamente autobiografica che spesso diventano anche un mezzo per raccontare il nostro presente in tempo reale.

È un crocevia, quello dell’autobiografismo e della contemporaneità, che da una parte contrappone la commedia al dramma (che negli ultimi anni sia al cinema che in tv sembra essersi concentrato su un filone più legato al period drama) e dall’altra il cinema a basso budget alle grandi produzioni, finendo per comporre un piccolo sottoinsieme di produzioni indie che comprende film di genere come Get Out, drama autobiografici come Moonlight e self-biopic come Lady Bird, lungometraggio d’esordio di Greta Gerwig in cui l’adolescenza dell’autrice viene raccontata in maniera minuziosa e il coming of age diventa il mezzo attraverso il quale far percepire sensibilmente l’urgenza dell’autrice e l’autenticità del racconto.

A queste caratteristiche Love aggiunge anche un’altra componente, ovvero quella della scrittura di coppia, che rende ancora più intrigante l’interpretazione della serie e la mette nelle condizioni di raccontare una storia d’amore da un doppio punto di vista, più esaustivo e complesso. Anche su questo il parallelo con il cinema trova un caso recente ed estremamente emblematico in The Big Sick (ribadendo la reciproca influenza tra cinema e serie televisive), film scritto da Kumail Nanjiani ed Emily V. Gordon che ha al centro proprio la storia d’amore dei due autori.

Per quanto riguarda Love, prima e più di Judd Apatow, sono infatti Paul Rust e Lesley Arfin a raccontare la storia di Gus e Mickey, facendo dei loro personaggi le maschere ideali per mettere in scena un’autobiografia di coppia che ha l’ambizione di essere al contempo sia un racconto molto personale, sia uno studio di caso su una relazione sentimentale dalle dinamiche universali, anche se sempre all’interno di una cornice di coppia eterosessuale, benestante, mediamente colta e di circa trent’anni.

Ragionare sulle relazioni sentimentali significa, secondo l’analisi di Apatow, Rust e Arfin, anche riflettere su tutto ciò che dall’esterno incide sulla coppia e sulla conoscenza reciproca come fattore stabilizzatne della relazione. In questa terza stagione, ormai esaurito il tempo dedicato alla reciproca conoscenza e all’adattamento alle dinamiche di coppia stabile, sono infatti tante le tematiche e le questioni che entrano ed escono in maniera osmotica dal recinto coniugale.

Di conseguenza, la narrazione dedica uno spazio maggiore ai comprimari e alle loro storie, non più soltanto funzionali ad arricchire l’universo dei due protagonisti ma ormai indipendenti (come la love story di Bertie e Chris, che diviene quasi un vero e proprio spin-off interno) e al tempo stesso cruciali nel plasmare la vita quotidiana del microcosmo che ruota attorno a Gus e Mickey, in cui anche la famiglia ricopre sicuramente un ruolo di primo piano, utilizzato con grande intelligenza dagli autori come una sorta di lucido concentrato delle tematiche stagionali.

Se nella scorsa stagione l’incontro con il padre di Mickey ha rappresentato una tappa fondamentale nell’economia del rapporto tra i protagonisti (prevalentemente in chiave negativa, sottolineando l’ancora difficile chimica tra i due e la difficoltà nel padroneggiare determinate situazioni), in questa terza e ultima annata il viaggio in South Dakota costituisce forse il principale momento di svolta dal punto di vista narrativo. Andare a trovare la famiglia di Gus significa mettere alla prova la propria complicità, portando la relazione fuori dalla comfort zone abituale, testando così la tenuta della fiducia reciproca come mai era accaduto prima e facendo uscire allo scoperto insicurezze e traumi, che come d’abitudine vengono utilizzati dagli autori per immergere lo spettatore nello stesso clima di incertezza, reciproca scoperta e vulnerabilità in cui si trovano i protagonisti.

Non è infatti sull’universalità delle vicende che si basa la forza di Love, ma sulla capacità di coinvolgere il pubblico nel processo di costruzione in diretta di una relazione, immergendolo nell’imperfezione nel modo più fedele e autentico possibile, concedendogli anche una certa percentuale di voyeurismo e autocompiacimento nel soffermarsi sulle piccole bassezze e sui difetti di Gus e Mickey, che si appoggiano a vicenda ma anche spesso si usano reciprocamente come grimaldello per far uscire rabbia, conflitti irrisolti, piccole frustrazioni.

Ma Love è prima di ogni altra cosa una commedia romantica e come tale non si vergogna di utilizzare tutti i cliché del genere di riferimento, pur riscrivendoli con un registro realistico e autobiografico. In questo senso la terza stagione chiude la serie con la perfetta circolarità che dal meet-cute porta al matrimonio di una qualsiasi rom-com hollywoodiana, ma senza la stessa volontà di compiutezza e allontanandosi totalmente da qualsiasi tentativo di risposta definitiva sulla natura dell’amore in generale. Perché Love ambisce fin dall’inizio a raccontare di UN amore anziché dell’amore, riuscendo paradossalmente comunque a stimolare nello spettatore un’identificazione (per similarità o per differenza) che scaturisce dalla sapiente fusione di autobiografia e racconto del contemporaneo.

Autore: Eugenia Fattori
Pubblicato il 19/03/2018

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