Tutta la bellezza e il dolore (All the Beauty and the Bloodshed)

di Laura Poitras

Attorno ai Sackler e le loro responsabilità nell'epidemia di oppioidi esiste ormai un ipertesto multimediale mobile e collettivo; di questa macro-narrazione il Leone d'Oro a Venezia 79 è la certificazione ultima, oltre che un'opera potente sul rapporto politico tra privato e pubblico.

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È una vera e propria galassia multimediale quella che si sta innescando attorno alla famiglia Sackler, responsabile, tramite il suo colosso farmaceutico Purdue Pharma, di aver commercializzato il farmaco oppioide OxyContin negandone i forti effetti additivi, contribuendo così in forma determinante all’epidemia di tossicodipendenza che da anni, a ripetute ondate, sta colpendo il tessuto sociale degli Stati Uniti. Attorno a quest’accadimento – che non è solo cronaca ma disastro umanitario su scala nazionale, scandito da percentuali macabre e agente come un sasso nello stagno, che si riverbera a più livelli innescando processi di tossicità criminale, alienazione, disgregazione familiare, dentro tessuti sociali assolutamente impreparati ad affrontare determinate afflizioni; il farmaco, del resto, era venduto come blando antidolorifico, e la dipendenza per molti è evoluta nel terreno più economico e accessibile dell’eroina – attorno a questo dramma, dicevamo, si sono agglutinate narrazioni, ricostruzioni, rielaborazioni fortemente divergenti ma connesse nel formare un ipertesto mobile e collettivo agente su due livelli: l’elaborazione del dramma e la denuncia militante.
L’intersecarsi di questi piani, che sia in termini giornalistici (L’impero del dolore, libro inchiesta di Patrick Radden Keefe), documentaristici (Crime of the Century, doc HBO di Alex Gibney) o seriali (Dopesick, miniserie drammatica di Hulu), fa sì che attorno ai Sackler e la crisi degli oppioidi si stia generando una delle macro-narrazioni espanse più importanti di questi anni, un’infiorescenza le cui diverse dimensioni sono embricate tra di loro e di cui il Leone d’Oro di Venezia 79, assegnato a Laura Poitras per il suo Tutta la bellezza e il dolore (All the Beauty and the Bloodshed), è solo la gemmazione e certificazione ultima.

Ripercorriamo brevemente la traiettoria.
Una delle prime voci a levarsi è stata quella di John Oliver, comico e presentatore inglese che dal 2014, grazie al lato show HBO Last Week Tonight with John Oliver, porta avanti un percorso televisivo di primo livello, capace di unire satira e informazione in forme particolarmente graffianti e non scontate. È del 2016 il primo dei tre speciali che Oliver dedica a Purdue Pharma, con l’obiettivo di accendere un dibattito collettivo agendo su piani multimediali, tra sketch, inchieste e siti internet creati ad hoc; curiosamente, uno degli attori chiamati a impersonare Richard Sackler – dato il suo rifiuto a farsi riprendere durante le inchieste giudiziarie – è stato, assieme a Bryan Cranston, Richard Kind e il compianto Michael K. Williams, quel Michael Keaton che ritroviamo protagonista di Dopesick, in cui si affronta la tragedia dell’OxyContin intrecciando lato umano e ricostruzione investigativa. Keaton in quel caso interpreta un medico divenuto dipendente dal farmaco, e la serie – basata su Dopesick: Dealers, Doctors, and the Drug Company that Addicted America, di Beth Macy – si chiude, eccoci arrivare al punto, con l’impiego di materiale d’archivio riguardante le prime azioni attiviste di Nan Goldin e del suo gruppo PAIN (Prescription Addiction Intervention Now), volte a spezzare il legame intessutosi negli anni tra le grandi istituzionali culturali del mondo occidentale e i Sackler, i quali da tempo si adoperano a infiltrare la loro immagine pubblica nei più famosi musei statunitensi ed europei, finanziando progetti e aree specifiche del Louvre, Guggenheim o Met. In questo passaggio di consegne dalle forme multimediali, Goldin diviene il centro del documentario realizzato da Laura Poitras, che con All the Beauty and the Bloodshed trae dalla ricostruzione di vita e d’arte della fotografa un’opera potente sul rapporto politico e culturale che lega privato e pubblico, corpo individuale e sociale, trauma del singolo e della collettività.

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Pietra angolare e primigenia del racconto è il dramma riguardante la sorella maggiore di Goldin, paziente psichiatrica di diversi istituti e morta suicida nel ’68; tratteggiata nei rapporti medici come vittima di circostanze famigliari avverse, condannata a percepire il futuro in tutta la sua bellezza e i suoi spargimenti di sangue (di qui il titolo), Barbara Goldin si rivela capro espiatorio per le afflizioni psichiche genitoriali, ed è attorno a questo trauma che si muove circolarmente il film, tra memorie che esondano e altre che inquinano sepolte, fintamente dimenticate. Da questo centro gravitazionale Poitras costruisce due traiettorie in avvicinamento tra loro, una dedicata alla ricostruzione biografica e artistica di Goldin e l’altra alla sua causa attivistica contro i Sackler. Dove la prima linea – grazie alla compenetrazione che la stessa Goldin ha sempre fatto di vita personale e artistica – si nutre di fotografie d’arte e testimonianze e supporti di memoria; su tutte la straordinaria The Ballad of Sexual Dependency, le cui foto diventano parti stesse del film grazie a processi di incorporazione testuale e risemantizzazione mediale che fanno pensare a Chris Marker. Mentre la seconda, non cronologica ma strettamente contemporanea, si nutre invece di ogni forma possibilità di racconto audiovisivo contemporaneo, chiamando a raccolta riprese smartphone, dirette video, archivio televisivo e home movie, per restituire la complessità dell’azione militante; con una vetta cinematografica di potenza impressionante, la lunga sequenza pandemica dedicata alle fasi processuali svoltesi a distanza, infiltrazione di forme di realtà capaci di generare immagini altre, impossessandosi del flusso.

L’insieme dei due approcci è di per sé duale. Perché, primo, ciascuna linea porta con sé l’idea di ibridare linguaggi, e lo fa scontornando le linee di confine, valorizzando la mescolanza. E perché, secondo, in entrambi i movimenti sposano la militanza come necessità di esserci nel pubblico come corpo privato. La relazione tra individuo e collettività non è qualcosa che si possa arginare o interrompere, è un flusso di narrazione che si genera a prescindere. In questo campo di forze non agire significa subire l’inflessione eterodiretta del pubblico, quella del potere e dei suoi discorsi, sia istituzionali che microfisici. Servono allora altre forme di magnetismo, che ribaltino la direzione vettoriale d’influenza e rendano pubblico il privato, pubblici i corpi, pubblica la malattia e la sessualità e le identità psichiche. È questa necessità il terreno d’incontro tra l’attivismo di Goldin e il documentarismo di Poitras, l’urgenza autobiografica della prima e la crasi multimediale della seconda.
All the Beauty and the Bloodshed è in definitiva la storia di un trovarsi, un riconoscersi nell’idea che il trauma è cosa pubblica, è politica.

Autore: Matteo Berardini
Pubblicato il 26/09/2022
USA 2022
Regia: Laura Poitras
Durata: 117 minuti

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