Xiao Wu (The Pickpocket)

di Jia Zhangke

Nell’esordio di Jia Zhangke, ci sono già in potenza tutti gli elementi che avrebbero trasformato il suo cinema in una gigantesca chimera, a partire da una dote incredibile nell’utilizzo del sonoro.

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Pensare Jia Zhangke è pensare all’apertura musicata e ballata, all’ouverture di Moutains May Depart, o meglio ancora alla danza finale di Zhao Tao sotto la neve; è pensare alla partitura complessa di 24 City, tra cinema del reale e finzione, e al minimalismo di Platform, che schizza verso il wuxia di A Touch of Zen, verso le sequenze fluide del massacro per strada in Ash is Purest White, e poi a quello che è il suo contraltare, l’immagine sgranata finale delle telecamere a circuito chiuso. Un cinema senza ascendente univoco, ma con tanti padri putativi, tutti distanti l’uno dall’altro (vengono un po’ in mente Chen Kaige, i maestri del Neorealismo, John Woo, Hou Hsiao-hsien, e qualche reminiscenza bressoniana). Allora arriva in soccorso MUBI, che con Prima i primi apre il suo spettro a un’intera sezione dedicata agli esordi. C’è anche il Jia Zhangke del primo Xiao Wu (The Pickpocket), girato nel 1997, e adesso, forse, suggerire una quadra alla sua irriducibilità di fondo viene appena più facile guardando all’origine delle sue ossessioni.

Di nuovo (anzi, qui per la prima volta) troviamo la provincia dello Xanshi, nella Cina rurale settentrionale, e la città dei natali, Fenyang, poverissima e derelitta. La parabola ascensionale di Jia si avvia recuperando dai suoi affetti locali un signor nessuno, un attore non professionista (il regista tiene a precisarlo in una didascalia prima dei titoli di coda), Wang Hongwei, che di Jia sarà praticamente il feticcio prima di Zhao Tao, onnipresente nella produzione successiva fino al 2008 con Cry Me a River. E il pedinamento costante di questo ragazzaccio di strada, che qui si chiama Xiao Wu, assieme all’immagine per niente artefatta della comunità di minatori e alle macerie e al sudicio di Fenyang, da subito suggerisce facilmente una prossimità col cinema neorealista più di molti altri lavori di Jia. Xiao Wu, e insieme la narrazione, ha sempre un andamento erratico, agisce nel solco di un falso movimento perché è un classico picaro incapace di smettere di commettere piccoli furti, e con l’emotività repressa di un inetto che trova impossibile maturare come invece fanno i suoi ex compagni. Un personaggio da repertorio che al Neorealismo aggancia gli echi del New American Cinema e si va a collocare in un mondo rurale cinese antropologicamente accurato quanto quello di Chen Kaige.

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The Pickpocket contiene già, in potenza, le formule che trasformeranno il cinema più tardo di Jia in una chimera gigantesca, e soprattutto ne contiene l’ossessione originaria e tutt’ora dominante (lo testimonia anche l’ultimo Swimming Out Till the Sea Turns Blue, del 2020): l’esigenza di raccontare, di farsi cantore del suo paese. Non siamo ancora al boom, al nuovo capitalismo sfrenato di Ash is Purest White e Touch of Zen, ma nella sua fase di lenta transizione.
Come conseguenza della mobilitazione della polizia per reprimere la criminalità, molti si trovano costretti ad abdicare alla vecchia pratica dei furti e riorganizzarsi nella nuova imprenditoria del contrabbando di tabacchi e alcolici. E affinché la percezione di questa trasformazione attecchisca nell’immagine, Jia decide di inquadrare la mortificazione che produce in chi ne è estraneo. Xiao Wu non assomiglia più a nessuno dei suoi vecchi compagni perché non sa e non vuole riconoscersi nel cambiamento sociale, e da qui traspare un’altra evidenza della chimera di Jia, quella del minimalismo, affidato alla paresi del volto del ragazzo, alla sua gestualità meccanica e sempre uguale, sempre depressa (si accende e si fuma una sigaretta praticamente in ogni scena).

Anche l’illusione di una nuova educazione sentimentale, l’amore tradito per una ragazza conosciuta al karaoke che si mantiene prostituendosi, riflette proprio il movimento a vuoto e irrisolvibile del personaggio, quindi, nella sua distanza, la poderosa trasformazione del suo paese. E se questo accade sul piano più strettamente tematico, d’altra parte il piano della rappresentazione, il rapporto tra filmico e profilmico, subito non si fa bastare il minimalismo o gli echi neorealisti, ma è materia di natura ben più ibrida in cui già troviamo la connotazione, i riverberi magici delle immagini successive di Jia. Quando Xiao Wu guarda dall’alto di una balconata un ex compagno di furti che si è rifatto una vita e passeggia amabilmente con la sua ragazza, e rimugina mestamente dentro di sé sul desiderio per la donna del karaoke, non c’è né una sonorità malinconica né rumore solo diegetico. Il traffico dei clacson viene musicato con il tono stentoreo della propaganda anticriminale degli altoparlanti, con il rumoreggiare dei faccendieri da strada e dei mezzi meccanici pesanti, e vi partecipa anche il canto di una donna in un programma televisivo, col pubblico inquadrato che la ammira coi volti spenti e sonnolenti. Vengono poi aggiunti gli innesti di un carillon e del bip di un cercapersone, e accade così ancora e ancora, in un accumulo di suoni stridenti e di melodie e di dissonanze di marca quasi surrealista, che sbilancia l’immagine della meditazione di Xiao Wu e ricalca il suo atteggiamento paranoico.
Evidentemente nel Jia Zhangke dell’esordio c’è già una consapevolezza metodologica estrema, un po’ figlia delle osservazioni che Béla Balázs aveva espresso a proposito delle applicazioni di una asincronia del suono: separare nella dissonanza il suono dall’immagine filmica, dal solo completamento di questa e dal suo avvicinamento alla realtà (per dirla con Bazin), per costruire un paesaggio sonoro e dotarlo di una resa poetica, di una pulsione che parli al cuore dello spettatore a proposito del groviglio emotivo di Xiao Wu, coi bip, lo stridere, il rumoreggiare del traffico, il canto delicato di una donna. Ma invece di provare a spiegarlo, per fare luce sul portato precoce del linguaggio cinematografico di Jia Zhangke, forse basterebbe ricordare il consiglio di un amico a Xiao Wu a proposito del suo cercapersone: «non devi guardarlo continuamente. Se qualcuno ti ama, suona».

Autore: Andrea Giangaspero
Pubblicato il 28/01/2021
Cina, Hong Kong 1998
Regia: Jia Zhangke
Durata: 108 minuti

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