All of Our Heartbeats Are Connected Through Exploding Stars

di Jennifer Rainsford

Tra i titoli più interessanti passati per l'ultima Mostra del Cinema di Pesaro, il mediometraggio di Jennifer Rainsford emerge raccontando di un disastro naturale tra i più importanti della Storia e, insieme, di rinascita e legami universali.

All of our heartbeats are connected through exploding stars - recensione film Jennifer Rainsford

Nel titolo del mediometraggio si trova, certo didascalicamente, già tutta la matrice e insieme il fine a cui tende Jennifer Rainsford, artista visuale e regista in concorso all’ultima Mostra del Cinema di Pesaro: All of Our Heartbeats Are Connected Through Exploding Stars parte da immagini di repertorio che subito stabiliscono il fuoco sul maremoto dell’11 marzo 2011 avvenuto nella regione di Tohoku, nel Giappone settentrionale, ma l’approccio da reportage dei primi minuti si sfrangia immediatamente, e con un certo stupore, in più direzioni che tentano di catturare una sorta di afflato universale, di grande disegno panico, in cui stiano assieme l’umanità e le cose naturali del mondo.

Rainsford si pone prospetticamente a dieci anni di distanza dalla tragedia, guardando alle modalità con cui le vittime sono venute a patti col dolore della perdita, quella dei cari e della cancellazione di case e di interi villaggi. Tra queste, c’è chi va avanti dedicandosi alle immersioni, con l’obiettivo romantico di ritrovare nelle acque oceaniche anche solo le ossa della donna amata, trascinata via dal maremoto. Ma il disastro ha provocato altre importanti conseguenze; e Rainsford non sceglie di guardare a quella più immediata, e forse per noi più importante, dei danni alla centrale nucleare di Fukushima, bensì a quella ecologica, ambientale, dei milioni di rifiuti che sono stati trascinati in lungo e largo nell’oceano e sulle coste delle isole. Come nelle Hawaii, in un panorama immaginato un tempo incontaminato, selvaggio, e ora approdo ultimo dei rigetti delle acque.

In questa prospettiva, Rainsford attribuisce un ruolo sempre più centrale alla natura e alle sue immagini, in particolare immergendo il proprio dispositivo nei fondali oceanici e veicolando, tramite la propria voce fuoricampo, una narrazione didascalica, tra lo scientifico e il fantastico, che si premura di ricomporre una ideale unità universale. Il rossore che si produce sulle nostre guance nei momenti di forte emozione ha a che fare, a livello atomico, con le stesse particelle irradiate nello spazio profondo dalla detonazione delle supernove e delle stelle tutte. Ecco il titolo, il sangue pompato nel cuore e il legame con gli astri che esplodono.

Niente di rivoluzionario, per carità, ma la regista sa ben dotare le sue immagini di una qualità esplorativa, di una pulsione alla curiosità, mentre continua a inabissarsi e poi a rilanciarsi tra le stelle, specie grazie, e non “nonostante”, a un’estetizzazione del quadro, al suo imbellettamento. Che non vuol dire riduzione del suo portato di verità: All of our heartbeats mette insieme racconti, più che testimonianze, ed è così che le immagini dei fondali marini possono e devono essere immagini ricche, belle, perché magico è, tra tanti, il breve racconto sul regaleco, il pesce misterioso e sacro che risale le profondità oceaniche per annunciare la venuta del terremoto, della catastrofe. O l’osservazione sulle fotografie da salvare, ritrovandole tra le montagne di detriti, arse, consumate, rese opache dal sale del mare. Immagini anch’esse sacre da ridestare, per testimoniare un passato e riconsegnarlo a uno sguardo.

 

Autore: Andrea Giangaspero
Pubblicato il 04/07/2022
Svezia
Durata: 77 minuti

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