Ieri/oggi - Speciale Howard Hawks: Avventurieri dell'aria

di Howard Hakws

L'aviazione, nelle opere di Hawks, diventa un distillato delle esperienze moderne: il dominio della macchina, il controllo della velocità, l'acquisizione di un punto di vista globale raffigurano le sfide che attendono la società del XXI secolo

Avventurieri dell'aria

A me non importa della vita, la dobbiamo tutti a Dio. Il mio destino sia quel che sia, si muore una volta sola.” - Shakespeare, Enrico IV

Un anno dopo il lungometraggio di William Wellman, che con il suo “Ali” (1927) aveva inaugurato il genere più in voga ad Hollywood tra gli anni ‘30 e ‘40, Hawks gira il suo primo film d’aviazione: La via delle stelle, purtroppo andato perduto. Il film, una sorta di dramma dal taglio documentaristico, era incentrato sull’addestramento di due piloti e sulle nevrosi del volo, sfruttando la scia dell’enorme successo di pubblico e di critica ottenuto appunto dal lavoro di Wellman. Il rapporto viscerale che Hawks sviluppa con il mondo dell’aviazione è una questione strettamente personale, legata a doppio filo con la sua biografia: da un lato infatti, prima di dedicarsi al cinema, il giovane regista era entrato in aereonautica, maturando una passione per il volo che avrebbe condiviso negli anni a seguire con il socio/avversario Howard Hughes. Dall’altro, perché Hawks era stato testimone della tragica morte del fratello Kenneth, precipitato in aereo al largo della baia di Santa Monica, durante le riprese del suo secondo film Navi Bianche; un evento traumatico che lo avrebbe segnato profondamente, al punto da commemorarlo implicitamente nel primo film sonoro della sua carriera: La Squadriglia dell’Aurora del 1930.

L’aviazione, nelle opere di Hawks, diventa un distillato delle esperienze moderne: il dominio della macchina, il controllo della velocità, l’acquisizione di un punto di vista globale, che permette di sovrastare la terra, raffigurano le sfide che attendono l’uomo del XX secolo. Inoltre, anche al di là della guerra, la figura del pilota si presta ad incarnare perfettamente il nuovo eroe americano mentre il cielo rappresenta l’ultima frontiera, conquistabile solo attraverso l’uso della tecnologia: quella radiofonica, che trasforma i piloti in presenze senza corpo, anticipando la natura fantasmatica di certi eroi in via di sparizione, e quella cinematografica che invece “potenzia lo visione”, traducendo il volo in un’esperienza di sguardo e di controllo del mondo attraverso la tecnica. A differenza di altri autori come John Ford, Hawks parte proprio dalla cultura del presente per rileggere il Mito e la Storia, infatti tutti gli eroi delle sue pellicole, compreso l’uomo del West, vengono elaborati solo dopo aver inquadrato la figura del pilota, matrice di tutte le altre. Questo novello “cavaliere dell’aria” altro non è che l’evoluzione più significativa della mitologia del pioniere, la cui missione è quella di traghettare nel “nuovo mondo” valori antichi quali: coraggio, lealtà e dedizione alla causa. Tuttavia, questa stessa figura muta, di pari passo alla sensibilità cinematografica di Hawks, assumendo fisionomie e caratteristiche differenti all’interno dei vari “capitoli” che compongono il filone aviatorio tratteggiato dal regista. Si passa così dai piloti, intesi come valorosi eroi di guerra che aderiscono ad un preciso codice d’onore, come quelli visti in La Squadriglia e Rivalità Eroica; a quelli relegati alla condizione di reduci sconfitti del film Brume, costretti ad arrendersi all’improvvisa marginalità sociale dei tempi di pace; fino ad approdare all’intrepida comunità di aviatori aeropostali capitanata da Cary Grant in Avventurieri dell’aria del 1939.

Avventuriari dell'aria 1

Il film in questione è la cronaca delle gesta di un manipolo di spericolati aviatori agli ordini di Geoff Carter, un pilota cinico e disilluso, che insieme al suo team rischia quotidianamente la propria vita in un angolo remoto del Sud America pur di adempiere al proprio dovere. Si tratta d’una storia “d’altri tempi” raccontata però dall’inusuale punto di vista femminile di Bonny Lee (Jean Arthur), una showgirl vagabonda di ritorno da una tournée, che si ritrova ad essere testimone di una sfida all’ultimo sangue tra uomo e natura. Confrontati ai loro predecessori, i piloti di Avventurieri si presentano immediatamente come un gruppo eterogeneo di amici, una vera e propria equipe di talenti, il cui obiettivo principale è quello di integrarsi gli uni con gli altri per cooperare in una costante roulette russa con la sorte; come osserveremo anche nel successivo Arcipelago in Fiamme in cui il valore della collettività è ancora più evidente ed assoluto. D’altronde anche in cielo ormai si vola in coppia e l’ideale romantico del cavaliere solitario ed individualista lascia il posto ad un sano cameratismo e ad un sentimento di virile solidarietà per affrontare le avversità di uno scenario aspro ed ostile, dove l’unica possibilità di sopravvivenza risiede proprio nell’abilità di riuscire a “fare squadra”. In tal senso è emblematico il personaggio interpretato da Richard Barthenless nel film: un pilota emarginato, reo di aver abbandonato un compagno durante una missione - decretandone la morte - che dovrà lottare contro il disprezzo di tutti prima di guadagnare la fiducia dei suoi compagni. Un processo analogo a quello a cui è sottoposta anche Jean Arthur, una donna isolata in un ambiente di soli uomini, che invece dovrà imparare ad adattarsi per comprendere a pieno lo spirito di cui è impregnato l’ambiente che la circonda: imparando le canzoni dei nativi, mescolandosi a loro e tentando di adeguarsi allo stoicismo dei piloti al punto da fare breccia nel cuore dell’incallito scapolo Grant. Il personaggio di Geoff – rude e superbo - è quasi una caricatura di machismo ma come i migliori eroi hawksiani, la sua essenza non è in ciò che dice ma in ciò che fa e il gesto che lo contraddistingue è la continua richiesta di fiammiferi, un rituale quasi liturgico che esprime il suo bisogno di instaurare rapporti: con l’amico fraterno Kid (Thomas Mitchell) a riprova di mutuo supporto e con Bonnie, manifestando cosi il desiderio di includerla nel suo mondo.

Rispetto a quanto già mostrato in altre pellicole, questo quarto film di Hawks dedicato all’aviazione non si basa tanto sulla fascinazione e il realismo delle riprese aeree, a cui il regista preferisce sostituire riprese da terra di atterraggi e decolli - di solito acrobatici o letali - accompagnati da scene di volo allusive e fuori campo sul potere simbolico degli ambienti evocati. Il primo - lo spazio principale - è il locale gestito da l’Olandese: un microcosmo articolato che funge da albergo, aereoporto, nightclub, dotato di un fascino sostanzialmente “luministico”, dove i protagonisti si raccolgono per elaborare tutti insieme il significato della morte, attorno alla luce fioca delle lampade al cherosene: simbolo della civiltà. Il secondo invece è quello rappresentato dalla cittadina immaginaria di Barranca con il porto, la nebbia e gli indios festosi che formano una seconda comunità relegata al ruolo di spettatrice. Infine il terzo ed ultimo spazio è la catena montuosa della Ande: teatro di una vera e propria guerra tra i piloti e gli uccelli rapaci che la dominano, metafora - a loro volta - dell’eterno duello tra uomo e natura che solleva il problema della fragilità umana. Un tema centrale nell’opera di Hawks che in questo caso viene evocato in tutte le sequenze d’azione - tanto brevi quanto schiette - che possiedono la stessa concisione riservata alle scene drammatiche - create rapidamente e altrettanto rapidamente superate - senza mai inoltrarsi nei territori del tragico, tenuti a distanza come le morti dei piloti, sovrastate dai rombi degli aerei e metabolizzate dagli sguardi terrorizzati degli astanti.

Prodotto dalla Columbia di Harry Cohn, il primo presidente di uno studios ad aver dato piena libertà d’azione ad Hawks come regista, Avventurieri dell’Aria, oltre ad essere considerato dai critici la sintesi più efficace dello stile dell’autore – fisico e geometrico – è soprattutto il prototipo di ogni film d’avventura che girerà in seguito – da Acque del Sud a El Dorado – in cui un gruppo di (anti)eroi al tramonto, avvolti in un turbine di fierezza, rabbia, egoismo e solidarietà, affrontano - a viso aperto - l’inesorabilità di un destino a cui non possono e non vogliono sottrarsi.

 

Autore: Jacopo Bonanni
Pubblicato il 12/05/2021
USA, 1939
Regia: Howard Hakws
Durata: 121 minuti

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