Freaks and Geeks

Cancellata in patria alla prima stagione, ma diventata cult nel corso del tempo, la serie di Feig e Apatow è una vetta della serialità di fine millennio che merita di essere riscoperta.

C’è un dialogo, nel diciottesimo e ultimo episodio di Freaks and Geeks, che fa capire quanto questa serie, datata 1999, fosse avanti nel tempo.

Siamo al termine di una partita di Dungeons and Dragons: il gruppo di Geeks ha invitato il leader dei Freaks, Daniel Desario, e questi, apparentemente interessato solo a ragazze e auto come un T-Bird di Grease qualsiasi, si è divertito e ha pure vinto. Mentre Desario va a prendere delle bibite, tra i giovani Geeks si commenta:

«Does... he wanting to play with us again. Mean that he’s...turning into a geek or we’re turning into cool guys?»

«I don’t know»

«But I’m gonna go for us being cool guys»

«Yeah! Definitely cool guys».

Paul Feig, creatore, e Judd Apatow, produttore, avevano compreso a fine anni ‘90 che nel Terzo millennio la rivincita dei nerd non sarebbe stata solo il soggetto di un film, ma si sarebbe realizzata nella realtà ed avrebbe alimentato l’immaginario degli anni a venire. A loro modo avevano previsto il successo di The Big Bang Theory, The It Crowd, Silicon Valley, e di autori come J.J. Abrams e Joss Whedon. Ma nessuno, oltre loro, lo capì. E la serie ebbe vita breve: una sola stagione, neanche tutta mandata in onda. La NBC programmò i primi 13 episodi a partire dal settembre 1999, ma, a causa dei bassi ascolti, la cancellò. Le pressioni dei fan fecero sì che, dei rimanenti cinque episodi, tre venissero mandati in onda a luglio del 2000 e gli ultimi due a ottobre dello stesso anno sul canale via cavo Fox Family Channel. Uno strano destino perché, a differenza di serie di ambientazione scolastica di maggior successo ma poco influenti sulle carriere di quanti coinvolti (si pensi a Bayside School, Beverly Hills 90210 o anche, in parte, a Dawson’s Creek), Freaks and Geeks è stata invece una vera e propria rampa di lancio per alcuni degli interpreti: Linda Cardellini (Scooby Doo, E.R., Bloodline, Daddy’s Home), Martin Starr (Silicon Valley, Dead Snow 2), Jason Segel (il Marshall di How I Met Your Mother nonché autore e attore di Non mi scaricare di Nicholas Stoller), John Frances Daley (attore in Bones, ma soprattutto sceneggiatore di Come ammazzare il capo e vivere felici e Spiderman: Homecoming). Questo per tacere del fatto che sia stata la serie in cui si è formato il nucleo della Apatow Factory (Apatow stesso, Paul Feig, Seth Rogen, James Franco) ovvero del gruppo che ha maggiormente innovato e influenzato la comicità americana degli anni duemila insieme col Frat Pack, col quale spesso si incrocia e collabora (e Ben Stiller ha un gustoso cameo nel 17mo episodio diretto da Jake Kasdan).

Freaks and Geeks si può dire abbia rappresentato per il teen dramedy ciò che Friends ha significato per la sitcom. Apparentemente, per struttura e stile, non siamo lontani da La famiglia Bradford o, paradossalmente, dal coevo Settimo cielo, di cui la serie si presenta come contraltare liberal. Come in Friends si affrontano con leggerezza temi quali la transessualità e la genitorialità surrogata, qui si parla di droghe e di intersessualità grazie al personaggio di Amy, di cui si innamora Ken/Seth Rogen. E, in più, ci sono gli anni ‘80, ma lontani dal revival esploso di oggi che, annebbiato dal velo conciliante della nostalgia, riduce acriticamente la decade ad un’epoca in cui ancora valevano valori quali l’amicizia. Gli ‘80 raccontati da Feig e Apatow sono più vicini a quelli di The Americans. Non a caso i protagonisti sono due categorie di emarginati eighties: da un lato i ribelli, gli eroi del decennio precedente (i Freaks) e dall’altro gli eroi delle decadi successive, i Geeks, i Nerd, i fratelli maggiori di Sheldon Cooper, o di Dustin, Mike e Lucas di Stranger Things. Al centro ci sono gli ex hippie che provano ad integrarsi restando coerenti nell’era dell’edonismo reaganiano, dell’interventismo militare (dopo un decennio di pacifismo), come il consulente scolastico Jeff Rosso (che, infatti, esplode durante la visita del vicepresidente Bush) oppure Lindsay, la secchiona che matura attraverso la ribellione all’autorità, rappresentata, di volta in volta, dai genitori o da Bush stesso, cui chiederà: «Perché il suo staff ha bocciato la mia domanda?». E questo perché, come recita il testo di Bad Reputation di Joan Jett, sigla di testa della serie:

«Non me ne frega niente della mia reputazione/stai vivendo nel passato, questa è una nuova generazione/una ragazza può fare quello che vuole/e questo è quello che farò/e non me ne frega niente della mia brutta reputazione».

Autore: Rosario Gallone
Pubblicato il 27/02/2018

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