La mafia non è più quella di una volta

di Franco Maresco

Disperato racconto sull'Italia contemporanea che svela la farsa dello spettacolo dell'antimafia

La recensione di La mafia non è più quella di una volta

C’è un momento apparentemente secondario nel nuovo film di Franco Maresco che però sembra condensare ogni possibile discorso sul progetto. Ovvero quando i celebri fotografi siciliani Letizia Battaglia e Franco Zecchin si imbattono in una statua di Don Pino Puglisi nel quartiere Brancaccio di Palermo. A metà tra il serio e il faceto, i due notano una strana somiglianza con Berlusconi. Il collo, i capelli, la corporatura. Come se l’opera fosse stata realizzata prendendo a modello non solo il sacerdote ucciso da Cosa nostra nel 1993, ma anche l’ex premier. Mirabile sintesi di un certo rapporto incestuoso tra mafia e antimafia ed ennesima conferma della pervasività berlusconiana nel tessuto culturale, antropologico, sociale del paese. Aspetto già affrontato in Belluscone, di cui La Mafia non è più quella di una volta sembra una sorta di sequel. Eppure Maresco vuole dirci altro. Questa volta, ancor più che nel precedente, è attraverso una certa idea di rappresentazione che il regista siciliano formula il suo corrosivo ritratto sullo stato delle cose della Sicilia e dell’Italia. Inevitabile allora il ritorno dell’impresario Ciccio Mira (sempre, rigorosamente in bianco e nero), che cinque anni dopo Belluscone cerca una possibile redenzione con l’organizzazione di una serata evento in ricordo di Falcone e Borsellino. Una vera e propria farsa con tutto il peggio che l’impresario può offrire: vecchie ballerine, neomelodici di quart’ordine, musicisti col parrucchino e la chitarra scordata ecc… Serpeggia davanti e dietro le quinte il consueto clima omertoso. Neanche una parola viene pronunciata in ricordo dei due martiri dello stato né di condanna contro la mafia. Insomma, al di là delle apparenze tutto resta sempre uguale. A cambiare è solo la facciata, buona per rifarsi una verginità, allontanando le ombre sulla collusione mafiosa, e magari ottenere qualche finanziamento pubblico.

Se è vero che la mafia non è più quella di una volta, di certo non ha perso un briciolo di potere nel controllo capillare dei territori e delle coscienze. Si veda, ad esempio, il momento in cui un losco figuro invita il collaboratore di Ciccio Mira a smontare tutto e andarsene. Perché “qui non siamo al Politeama”. Come a dire che una certa idea di impegno civile non può esistere al di fuori di contesti borghesi e privilegiati. Nemmeno le baracconate di Ciccio Mira, che di quell’attivismo civico non è che un grottesco e patetico simulacro. E qui veniamo alla controparte degli eventi neomelodici di periferia, ovvero la manifestazione organizzata in ricordo di Falcone e Borsellino a 25 anni dalle stragi di Capaci e via d’Amelio. Sfilata di politici locali e nazionali, girotondi, cori da stadio, giochi per bambini. Un grande carnevale colorato ed infantile che sembra aver smarrito l’indignazione, la rabbia, la commozione. L’antimafia come stanco rituale che conviene solo a chi lo promuove. Mentre tutto intorno regna il silenzio. Nel palazzo di giustizia dove il Pm Nino Di Matteo si trova emarginato. Nelle strade di Palermo, dove vige sempre la vecchia regola d’oro dell’omertà e del diniego. E persino al Quirinale, dove il Presidente Mattarella evita ogni commento sulla trattativa Stato-Mafia e sulla condanna in primo grado al generale Mori e all’ex senatore forzista Marcello Dell’Utri.

Tra una rappresentazione e l’altra, si impone la figura di Letizia Battaglia che con i suoi scatti immortali ha saputo raccontare meglio di chiunque la violenza mafiosa. È a lei che Maresco affida il vero controcampo del film: è la prima a cogliere la deriva carnevalesca delle manifestazioni di piazza e delle ricorrenze, cosi come a stancarsi degli spettacoli di Ciccio Mira, e a bilanciare poi il pessimismo radicale del regista, esplicitando il metodo e la visione che sottende ogni inquadratura. E soprattutto opponendo una lucida e ferrea determinazione civica e politica. La realtà siciliana viene dunque passata al vaglio dell’occhio fotografico. Il solo evidentemente capace di smascherare la finzione che si cela dietro lo spettacolo dell’antimafia. Ma è chiaro che per Maresco la verità resta inconoscibile. Ancora una volta si diverte a mischiare le carte. Filma eventi reali come fossero sceneggiate e viceversa. Mette insieme materiale d’archivio e animazione, interviste frontali e pedinamenti, retroscena e derive nell’ossessione paranoide. Impossibile distinguere la fiction dal documentario. La memoria dalla sua falsa riproduzione. Tutto si salda in questo bellissimo e disperato racconto sull’Italia contemporanea che non può che concludersi ancora una volta in piazza, sancendo l’ennesima trasformazione di un impresario e di un paese in bilico tra folklore e orrore. Uno dei finali più eversivi di sempre.

Autore: Giulio Casadei
Pubblicato il 07/09/2019
Italia
Durata: 107 minuti

Ultimi della categoria