Fondazione Merz / Christian Boltanski. DOPO

Un inedito progetto site-specific per la prima volta a Torino di Christian Boltanski

«Le foto girano come i fatti della vita, si può decidere di inseguirle con lo sguardo o muoversi dietro loro ma poi alla fine bisogna lasciarle andare e pensare al dopo».

Christian Boltanski non ha certo bisogno di presentazioni: costruisce archivi, raccoglie dati, frammenti di vite sconosciute, in una continua ricerca (cominciata dall’artista nel 1968, con il cortometraggio La vie impossible de Christian Boltanski) che pone al centro la memoria personale e collettiva. Non facile accostarsi immediatamente a DOPO, che rientra a pieno titolo nel percorso sopra citato. Prendiamola larga e pensiamo ad un altro, notissimo, suo progetto, Les Archives du Cœur, che impegna Boltanski dal 2005: la costruzione un enorme archivio dei battiti cardiaci dell’umanità, depositato in museo costruito sull’isola giapponese di Teshima. Cosa c’è di più intimo dell’ascoltare il battito di un cuore diverso dal nostro? Ma i battiti restano lì, conservati come dati sempre a disposizione, come documenti e tracciati di una vita senza alcun nome. Iperindividuali e totalmente disindividuati. E l’archivio diventa così una raccolta della memoria anonima degli uomini comuni. E DOPO, sviluppato nell’intero spazio della Fondazione e concepito come un’installazione totale, è, a modo suo, ancora un archivio, questa volta di ombre.

Il percorso espositivo si apre con circa 200 grandi fotografie, scelte dall’archivio personale di Boltanski, stampate su tessuto e sospese al soffitto. Alcune, grazie a dei binari, seguono un tracciato vagamente ellittico, secondo un moto flemmatico e costante. «Esili figurine della vita e della morte» in continua sovrapposizione, volti sconosciuti eppure familiarissimi, ombre in movimento che, a turno, si allungano sulle pareti spoglie e bianchissime. Ci si trova immersi in una sorta di nebbia impalpabile di ricordi, in cui riconoscere talvolta un volto, che però subito ci sfugge. Non si ha mai la sensazione voyeuristica di curiosare negli album fotografici altrui, e nemmeno quella di trovarsi in mezzo ad un’adunata di spettri; piuttosto, queste immagini fantasmatiche, che scompaiono e ricompaiono secondo una logica tutta loro, ci rassicurano. Potrebbero essere i nostri genitori. Il nostro primo cane. Potrebbero essere davvero i ricordi più quotidiani di tutti e di nessuno. DOPO è un racconto corale, che ricongiunge «la Storia alla vita di ciascuno», un racconto fatto di tracce che in realtà non ci dicono più nulla, non sono più leggibili, ma che restano come un residuo ostinato. DOPO non è un reliquiario, e nemmeno una cappella di famiglia, ma un modo di tener viva la Memoria. Le immagini acquisiscono la capacità di rendere la presenza sensibile del mondo e dei corpi, consegnandoci non la presentificazione dell’invisibile, ma l’idea di una superficie somatica in grado di rivelarci il segreto del mondo.

Immagine rimossa.

Tutti gli spazi della Fondazione sono coinvolti, e con un applauso liberatorio (il video Clapping Hands) lo spettatore è accolto al piano inferiore: è l’omaggio di Christian Boltanski a Mario Merz, e alla sua capacità di essere stato presente nel proprio tempo, e di averlo reso fecondo per chi è venuto dopo.

Questo spazio, illuminato solo dalle lampadine che scrivono la parola “DOPO”, è occupato da scatole di cartone rivestite di cellophane (bianco, ma davvero il buio è tale da mostrarne solo il profilo) di varie dimensioni e altezze. La sensazione è quella di essere gettati nel bel mezzo di un trasloco: gli oggetti di una vita, celati e resi anonimi, perdono (contrariamente ai volti del piano superiore) la loro dimensione familiare, per diventare piccoli obelischi muti ed inquietanti.

Siamo di nuovo in una stanza della memoria: una memoria che aspetta però di essere riattivata e liberata dai teli che la ricoprono. Che ci chiede di aprire i cassetti, e soffiare finalmente via la polvere dagli archivi.

Autore: Giulia Belluco
Pubblicato il 06/12/2015

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