Far East 2015 / ''Qualcosa che venga ricordato'' – Intervista a Jackie Chan

Abbiamo incontrato Jackie Chan, ospite d’onore del Far East Film Festival e protagonista del film d’apertura Dragon Blade.

Prima mima alcune mosse di karate, poi lo vedi correre sul posto come se un palazzo stesse esplodendo alle sue spalle. Risponde generosamente alle domande, gioca con il microfono e si infervora quando parla delle sue scelte di carriera, non vede l’ora di mostrarci il suo ultimo film, Dragon Blade, scelto per aprire in anteprima questa 17° edizione del Far East Film Festival. In due parole, Jackie Chan, che assieme al regista del film Daniel Lee è stato protagonista di un incontro stampa divertente e ricco di spunti.

Al giorno d’oggi il successo di un film si misura anzitutto dai suoi risultati al botteghino, tuttavia la storia del cinema ci ha regalato moltissimi esempi di film che hanno avuto uno scarso successo commerciale e che oggi ricordiamo comunque per il loro valore. Come si misura secondo lei il successo di un film?

Quando ero giovane il botteghino era senza dubbio la cosa più importante, senza risultati nessuno ti invita alla festa. Fare soldi allora era la prima cosa, solo dopo veniva la qualità. Questo valeva anche per me, all’inizio della mia carriera dovevo mantenere me stesso e la mia famiglia, pagare le bollette. Solo dopo, quando il successo è arrivato, ho cominciato a lavorare in modo più completo, mi sono preso una responsabilità diversa. Per me i film d’azione fanno guadagnare soldi, certo, ma a volte trasmettono un messaggio sbagliato e spariscono in fretta. Adesso quando faccio un film non guardo più al botteghino, voglio anzitutto che sia trasmesso un messaggio. Con Daniel Lee abbiamo parlato per sette anni di questo film, perché dietro di questo ci sta un messaggio di armonia e di pace, un discorso contro la guerra molto importante. Certo, è costato 60 milioni farlo ed è bene che i soldi rientrino, che abbia successo, ma l’importante è aver fatto qualcosa che abbiamo un messaggio. Non mi servono i soldi oggi, voglio fare qualcosa di giusto, qualcosa che valga. Voglio che i miei nipoti ed altri anni più avanti non mi dimentichino perché ciò che ho fatto ha un valore. Un film può avere un enorme successo ed essere dimenticato presto, cosa ricordiamo a volte è altro. Un tempo contavano i soldi, oggi voglio fare qualcosa che venga ricordato.

La sua carriera è iniziata come stunt e combattente, ora lei fa film con un approccio più filosofico ed educativo, sottolineando spesso la storia della Cina. Come vede gli sviluppi della sua carriera?

Come detto, prima volevo fare soldi ma adesso non più. Non sono più giovane, ho cambiato il mio carattere e il mio modo di recitare perché voglio arrivare ad essere un attore completo, reale. Voglio essere come un Roberto De Niro asiatico! Oggi, camminando per Udine, ho visto diversi bambini che mi hanno riconosciuto e hanno mimato delle mosse di arti marziali. Con De Niro non reagiscono mica così! Tra dieci anni voglio essere accolto come un buon attore, i film di azione hanno vita breve mentre io voglio che si sappia che non so solo combattere ma anche recitare. Adesso faccio soltanto film cinesi perché è ciò che conosco bene. Ad Hong Kong ho potuto fare certo cinema, ma è la storia della Cina che conosco. Faccio quello che faccio per promuovere la mia cultura e il mio paese, che conosco meglio di tutto.

[A Daniel Lee]: Lei ha realizzato un kolossal in costume con diversi attori americani, secondo lei la Cina è pronta adesso a competere con i blockbuster hollywoodiani? Siamo arrivati ad avere pari opportunità e status?

Effettivamente ho sempre sperato di avere l’opportunità di lavorare con attori americani e finalmente ce l’ho fatta. Tuttavia non era questo il vero obiettivo, il motivo di partenza è la storia, cui teniamo molto. La mia attenzione allora era rivolta alla regia, a girare nel miglior modo possibile. Ovviamente poi uno si augura che i soldi spesi ritornino e che il film abbia successo, che venga accolto bene in tutto il mondo.

Ci sono voluti sette anni per realizzare questo film, potete parlarci della genesi del progetto e della sua realizzazione?

[Inizia Jackie Chan]: noi viviamo entrambi ad Hong Kong, io ho la mia squadra e lui ha la sua. Non ci eravamo mai conosciuti prima, ma un giorno il mio cameraman e montatore è venuto a dirmi: “Conosci Daniel Lee? Dovresti incontrarlo”. Io mi fido molto di lui e così l’ho fatto, l’ho chiamato. “Daniel ciao sono Big Brother Jackie!” e gli ho detto di volerlo conoscere, ho guidato fino al suo ufficio e lì abbiamo parlato dei nostri progetti in cantiere, abbiamo cercato qualcosa di speciale da fare assieme. Un mese dopo avevamo in cantiere tante storie diverse, e tra queste abbiamo trovato un punto in comune, dal quale abbiamo avviato un progetto di ricerca approfondito e…

[Passa la parola a Daniel Lee]: dopo aver raggiunto un accordo abbiamo trascorso molto tempo a pianificare i dettagli. Del resto è stato il film con il maggior budget speso in Cina, quindi anche da questo punto di vista la cosa andava presa molto seriamente, c’erano molte considerazioni da fare. Alla fine siamo arrivati ad una sceneggiatura che Jackie amava molto, e da lì siamo al resto. Una cosa che vorrei sottolineare è che due terzi del film sono stati girati nel Deserto del Gobi, non abbiamo ricreato nulla in studio.

[E qui ritorna Jackie]: non è stato facile, specie con tutte le comparse che avevamo. Non avevamo abbastanza persone adatte perché ci servivano dei romani, abbiamo cercato a lungo persone con i tratti somatici giusti. Dopo averle trovate le abbiamo portate nel deserto, e truccate e tutto, e una volta finito volevano tornare a casa! Immaginate: due, tre ore per il deserto, caldo, armature, trucco, cavalli, migliaia di persone. Del resto in Cina siamo abituati a risparmiare soldi, non abbiamo lavorato con il digitale, e tutti dovevano camminare per arrivare nel deserto senza lasciare tracce di ruote sulle strade.. dopo un mese e mezzo nessuno voleva più farlo questo film!

In questo mondo sempre più digitale, il gesto dell’arte marziale ha ancora uno spazio nel cinema di Hong Kong? Vedremo ancora scene basate su gesti reali?

Lentamente queste cose sono destinate a sparire, siamo rimasti in pochi a poter eseguire degli stunt veramente buoni, io e pochi altri. Ma quando ci ritireremo in pensione non so se ci sarà qualcun altro, è difficile. Ad Hollywood usano la CGI per ogni cosa e in quel modo tutti possono realizzare degli stunt incredibili, ma quando ero giovane io saltavo da un edificio all’altro perché dovevo guadagnare. Mi sono rotto tutto, dita e quant’altro, ma avevo bisogno di guadagnare e il pubblico di allora non voleva le cose finte, voleva vedere quello che Jackie sa fare per davvero. Oggi è solo CGI ma io quelle cose le facevo davvero. Ora le nuove generazioni di attori sono cambiate, hanno imparato benissimo come usare le nuove tecnologie, sanno usare ogni trucco. Da me però il pubblico vuole le cose vere, ma questo durerà ancora alcuni anni, cinque, poi addio!

[A Daniel Lee]: Rispetto ai suoi passati lei ha cambiato il suo stile, si è fatto meno dark e più mainstream, come mai ha compiuto questi cambiamenti?

Anzitutto sono cresciuto, sono film che ho realizzato molti anni fa ed un regista non deve rimanere sempre lo stesso. Io sono cambiato, ho amato fare quel tipo di film ma non voglio rifare lo stesso adesso. I film di un tempo non li guardo neanche, anche se non credo di essere cambiato poi troppo dopotutto. Il mio stile, le mie immagini sono rimaste le stesse, anche Dragon Blade rispecchia uno stile documentaristico che mi è ancora proprio. Quello che ho fatto negli ultimi otto anni è il risultato di una mia crescita personale.

[A Jackie]: riguardo The Canton Godfather e Danny Rose e Project A II, questi due film sono i migliori di quelli che hai fatto finora. Volevi fare dimostrare di essere un regista diverso, più completo, e non solo un bravo attore?

Io stato sono molto fortunato perché a diciotto anni ero già uno stunt e a ventidue facevo il regista, quindi ho iniziato a lavorare e fare tutto da molto giovane. All’epoca ad Hong Kong non avevamo una scuola di registi, c’era solamente il botteghino, e in quegli anni qualcuno mi dice: “Jackie tu si che sai fare film d’azione”. Questa cosa però mi faceva arrabbiare, andai allora in Inghilterra a comprare le migliori apparecchiature per girare e in sette giorni ho creato un set incredibile per una sola ripresa, sedici ore per una sola ripresa, per sfatare il mito che Jackie non sa girare. Ma poi quando il film è uscito mi sono sentito un po’ stupido, ero troppo giovane e volevo essere il numero uno in ogni cosa. Ora sono cambiato. A volte si sente il bisogno di dover mostrare al pubblico le proprie abilità, ma poi il pubblico non le riconosce tutte. Scegli certe camere e certe luci ma il pubblico non lo sa, il pubblico si siede, ride e dice bello o brutto e basta, non sa quanto tempo viene speso per creare una certa scena. Dice solo bello o brutto. Oggi poi è facile realizzare un film tecnicamente valido perché ci sta la CGI, ma ora ci sono anche tagli di montaggio ovunque, mentre io voglio far vedere l’intera scena di combattimento, l’intero movimento, mentre oggi si cerca sempre di spezzettarlo.

Lei dice che ama l’azione ma odia la violenza, si tratta di una contraddizione?

E’ vero perché è un dilemma. La gente pensa sempre che azione e violenza siano la stessa cosa, ma io uso l’azione assieme alla commedia in un film. Resta però ancora un dilemma, un conflitto. Io faccio il mio meglio per illustrare che la violenza è sbagliata.

Ho l’impressione che Hollywood produce sempre meno film di arti marziali. Cosa sta cambiando nel settore di questi film, ne ha amato uno particolarmente?

Questo perché i film di arti marziali sono difficili da girare, non è facile. Devi avere attori molto bravi che sanno combattere e recitare, devi girare bene.. sinceramente ad Hollywood non sono in molti a conoscere le arti marziali. Ci sono Tom Cruise e Stallone che conosce la boxe.. ma sono una cosa diversa, usano effetti speciali come Superman e Spider Man. A volte la loro azione è migliore della mia, volano qui e là e anch’io resto sorpreso. Loro spendono tanti soldi per questo tipo di azione, ma è vera azione? Ci sono attori che sanno fare azione ma questa può essere facile e difficile. Vedi Matt Damon e sembra bravo a combattere, ma la mia azione è diversa, io metto la camera davanti e riprendo l’intero movimento, senza tagli. Il pubblico però non se ne rende conto e dice, quanto sono bravi! Io invece mi sono fatto lanciare sul set un vero tomahawk, che stupido! Rischio di morire perché mi piacciono le cose vere. Anche con le esplosioni oggi uno urla e si getta ma dietro non succede niente, è tutto CGI, invece come faccio io, con veri esplosivi, si sente davvero l’emozione. Forse mi piace l’eccitazione, sono un po’ stupido. Ma mi piace fare le cose stupide, e anche il pubblico lo vuole.

Autore: Matteo Berardini
Pubblicato il 25/04/2015

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