Far East 2015 / La La La at Rock Bottom

Dopo “Linda Linda Linda” Nobuhiro Yamashita torna al cinema musicale ma rispetto al passato racconta le vicende di personaggi più maturi e sofferti

Uscito di prigione dopo 18 mesi di condanna, Shigeo non fa in tempo a capire come riprendere la propria vita che una violenta aggressione lo lascia privo di memoria, in balia di un’amnesia completa. Senza nulla indosso se non delle vesti stracciate e sporche di sangue, l’uomo vagando finisce in un parco pubblico, dove si tiene un concerto degli Akainu, una colorita rock band di quarantenni. Scalzato il cantante si impadronirà del microfono, con il quale darà prova di grandi note canore priva di cadere incosciente a terra. Dall’incidente Shigeo finisce per legarsi alle sorti della band e in particolare della manager Kasumi, che praticamente lo adotta facendolo lavorare a casa propria. La memoria di Shigeo però inizia a tornare, assieme ad un temperamento sempre più aggressivo.

Quello dell’amnesia è un tema visto e rivisto all’interno del cinema, specie nel suo sviluppo romantico in cui la parte che torna alla memoria entra in conflitto con la nuova situazione venutasi a creare. Ma in fondo neanche l’idea di usare la musica come catarsi può dirsi originale, e tuttavia nonostante questa convenzionalità di fondo La La La at Rock Bottom finisce per essere un film coinvolgente e genuino, emozionante per come riesce a raccontare l’intrecciarsi di più parabole esistenziali con quella delicatezza agrodolce tipica di un certo cinema orientale. Nobuhiro Yamashita del resto ha dimostrato da anni il suo talento cinematografico, specie con Linda Linda Linda, altro film musicale con il quale questo La La La istaura un evidente rapporto di rimando. Tuttavia adesso siamo lontani dalla vita liceale, Shigeo è un personaggio sofferto e contraddittorio, cui viene offerta la possibilità di redimersi e di dimostrare di avere ancora un controllo sulla propria vita, che non sono solamente gli sbagli compiuti in passato a guidare i suoi passi.

Per Yamashita infatti l’amnesia diventa lo strumento con il quale il suo protagonista può paradossalmente ritrovare sé stesso; con la perdita di memoria vengono meno anche i rimpianti e le paure, ma soprattutto i ricordi delle precedenti esperienze criminali, che stavano già tornando ad intrappolarlo in una coazione a ripetere. Privo di memoria invece Shigeo riesce attraverso la musica a riconnettersi ai suoi desideri più infantili e naturali, quella passione per il canto che lo riporta ai primi, felici anni in famiglia. Una dimensione salvifica, alla quale riesce ad attingere grazie all’aiuto e alla perseveranza di Kasumi. E anche se alla fine la convenzionalità di fondo torna a colpire, intessendo per i due personaggi uno scontato destino romantico, Yamashita riesce comunque a non appiattire il tutto grazie al suo sguardo carico di intima umanità, ma soprattutto scevro da ogni eccesso di retorica (come dimostra del resto lo splendido finale, che taglia soltanto su uno Shigeo finalmente sorridente, forse tornato un po’ bambino).

Autore: Matteo Berardini
Pubblicato il 27/04/2015

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