Language of Birds
Tra sperimentazione e approccio saggistico, in Language of Birds lo studio sul linguaggio già intrapreso da Érik Bullot diventa il volano per un discorso etico sul rapporto tra uomo e mondo animale. In concorso alla 58° Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro.
A partire almeno dalla dall’Historia Animalium di Aristotele, l’uomo non ha smesso di interrogarsi sui linguaggi non umani. Molti sono i miti sorti intorno al rapporto tra la comunicazione umana e il linguaggio animale come veicolo di conoscenza della natura, alcuni dei quali trovano un fondo comune nel concetto di lingua degli uccelli. Una leggenda nordica contenuta nella Völsunga saga, da cui trae ispirazione il Siegfrid di Wagner, narra dell’eroe Sigurd, il quale, dopo aver bevuto accidentalmente sangue di drago, inizia a comprendere la lingua degli uccelli che preannunciano al protagonista i pericoli che egli sta per correre. Semplificando per necessità, in un bacino letterario ampio ed eterogeneo, il potere di comprendere la lingua degli uccelli diventa da un lato chiave d’accesso al verbo della Natura e dall’altro, soprattutto nelle fonti greche antiche, è associato alla divinazione. Language of Birds di Érik Bullot, presentato in concorso alla 58° Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, sembra partire da queste suggestioni, ma ne nega gli esiti, in una riflessione sulla necessità di un diverso approccio alla natura da parte dell’uomo e sui limiti della prospettiva antropocentrica.
In un futuro non precisato, a seguito di quella «sesta estinzione di massa» che oggi stiamo realmente vivendo, come in Blade Runner, l’umanità vive in un mondo in cui gli animali sono scomparsi. Alcune persone provano quindi ad analizzare il linguaggio degli uccelli come procedendo a ritroso nel tempo, muovendosi tra registrazioni che sembrano ormai giunte da un’epoca lontanissima, filmati di repertorio, spartiti, saggi, immagini enciclopediche, disegni, documenti di natura diversa che vengono sovrapposti come veline e provano a suggerire percorsi interstiziali, a indicare possibili connessioni tra l’uomo e il mondo di cui l’umanità non è riuscita a prendersi cura, nella ricerca (forse) di una rivelazione che resterà però racchiusa, impotente difronte alla catastrofe avvenuta, nel suo scrigno dal fascino esoterico. In Language of Birds, lo studio sul linguaggio e sulle lingue, già intrapreso da Bullot ne La révolution de l’alphabet, è il volano per un discorso etico che diventa centrale. Come ne La jetée, a cui il saggio sperimentale di Bullot rimanda per più di uno spunto, non si sfugge però né al futuro, né a un passato che l’accesso a un vasto archivio memoriale non può in alcun modo rivivificare. Si può al massimo tentare di ricostruire, con gli strumenti dell’immaginazione e della scienza, ciò che è stato e che non sarà mai più ma solo in quanto catasto museale, in cui «l’uccello», chiosa il regista, «è diventato archivio». Come ne La jetée, ci si confronta con immagini fisse che non hanno altro da comunicarci che la loro morte. Anche qui, dunque, il movimento all’indietro, in un passato più immaginato che rivissuto, è solo illusorio.
Conoscere la lingua degli uccelli resta dunque un tentativo frustrato: a differenza del mito di Sigurd, non ci sarà nessuna rivelazione, nessun accesso al mondo segreto della Natura, né tantomeno alcuna possibilità divinatoria. Questo perché la prospettiva da cui si tenta di comprendere il linguaggio degli uccelli, e dunque l’universo animale, resta prettamente umana. I tentativi di traduzione restano vani, l’emulazione dei suoni dei volatili diventa grottesca e goffa imitazione, l’animale è sempre “letto” con occhi, orecchie e strumenti umani. Dunque, il suo mondo resta lontano, misterioso ed ermetico, una foresta di segni complessa che presupporrebbe non solo adeguati strumenti linguistici ma soprattutto un diverso modo di sentire il mondo che parta da una diversa percezione del tempo. L’impressione è infatti che uomo e animali procedano su piani percettivi differenti e lontani, che siano quindi votati all’incomunicabilità, tanto che per provare ad analizzare correttamente il canto dei volatili diventa necessario rallentare il tempo - «tradurre è una questione di scale», dice un esperto nel film. Difficile non leggervi un monito all’umanità intera, prima che sia troppo tardi.