Dossier Steven Spielberg / 8 - Il colore viola

Steven Spielberg racconta un doloroso universo femminile con un tributo al genere melodrammatico in una reinterpretazione che si nutre di inserti stilistici di tutt'altra natura

Nella filmografia di Steven Spielberg Il colore viola appare come il suo primo polpettone cinematografico. La storia, tratta dall’omonimo romanzo premio Pulitzer di Alice Walker, racchiude in sé tutti i tratti caratteristici del melodramma. All’inizio del secolo scorso la giovane Celia sperimenta la duplice conseguenza di essere donna e nera nell’America del sud; ripetutamente violentata fin da ragazzina dal padre putativa, madre di due bambini che le sono stati subito sottratti, considerata alla stregua di una serva e di un pezzo di carne da consumare quando si ha voglia, possiede l’unica gioia di una sorella amatissima, Nettie. Il matrimonio combinato con Albert, che in lei più di una seconda moglie cerca una schiava, e il distacco dalla sorella in fuga prima dalle molestie del loro padre e poi del marito di Celia, producono il totale annichilimento della donna. Abituata a servire, obbedire ed essere maltrattata senza proferire parola, Celia si è ormai convinta della propria inferiorità, della propria bruttezza e dello scarso valore che gli uomini le attribuiscono.

Cantava John Lennon, Woman is the nigger of the world: ne Il colore viola le relazioni di potere sono strutturate per sottocategorie. I bianchi comandano i neri, ma all’interno di questa gerarchia, gli uomini (bianchi/neri) comandando le donne (bianche/nere), e fra le donne le figure più vitali, come l’energica Sophie, o Shug, l’amante di Albert, non si fanno scrupolo di costruirsi un posto nel mondo con la forza del carattere e delle bellezza. Celia sembra occupare l’ultimo scalino della società: è brutta, è nera, è donna, ed è debole. Giacché l’unico linguaggio che ha assimilato dagli uomini per tutta la giovinezza è quello della sottomissione, dovranno essere le donne a mostrargliene l’altro, che passa per i gesti e le parole. L’amore le viene solo da Nettie, che oltre a carezzarla con dolcezza le insegna a leggere, e da Shug, l’unica altra persona dalla quale riceverà prima gesti di affetto, e poi le lettere della sorella che Albert teneva nascoste da anni.

Ciò che fa Spielberg ne Il colore viola è trasporre questa evoluzione linguistica nel registro stesso del film, a tutti gli effetti un melodramma classicissimo nei temi, nei personaggi e nell’atmosfera che allo stesso tempo rompe con le regole del genere, inserendo sequenze stilisticamente differenti. Così, in questa tragedia strappalacrime di donne violentate, picchiate e private dei loro figli, all’improvviso compaiono scene comiche fra le più tradizionali. Uomini che inciampano, che cadono dal tetto, che si disperano in cucina. Ma non solo: grazie al personaggio di Shug, Il colore viola si trasforma in alcuni parti in un film musicale che raggiunge il suo apice nel spettacolare pezzo canoro della riconciliazione con suo padre in una chiesa festante. Ogni slittamento dal genere drammatico si lega a un cambiamento nella condizione dei personaggi, come se, scegliendo di parlare in un modo diverso, il film le accompagnasse in un rispettivo mutamento caratteriale. Ecco allora la scena strutturata sul più classico dei montaggi paralleli in cui Shug corre per fermare una Celia con la lama da barba teso contro il collo di Albert, per la prima volta conscia di poter essere diversa. Similarmente le gag descrivono la capacità di vedere i personaggi maschili, altrimenti percepiti come potenti padroni, quali esseri deboli, ridicoli. Non ne ride solo lo spettatore, ma la stessa Celia, che gradualmente impara a mostrare il sorriso che il padre definiva orribile, in un ribaltamento dei ruoli in cui i tratti per cui le protagoniste venivano criticate (voler reagire, cantare, ridere) divengono il loro punto di forza.

Spielberg crea una sorta di laboratorio sui generi cinematografici obbedendo alle regole e allo stesso tempo riscrivendole. Il colore viola è da un certo punto di vista, una storia manierata, dove, esclusa Celia, le donne sono figure positive, forti e grintose, seppur spezzate dalla vita, mentre gli uomini sono crudeli e deboli. I sentimenti sono appassionati, la contrapposizione fra i ruoli è manichea (Albert comanda su Celia, Shug comanda su Albert, Sophie comanda sul figlio di quest’ultimo, Harpo), e il film non manca neppure di mostrare un carattere epico: il cielo annuncia tempestoso la prima venuta di Shug, e Celia pronuncia contro Albert una terribile maledizione (poi compiutasi) che lo ammutolisce. E’ vero però anche che nel corso del film tutti i personaggi subiscono uno spostamento di ottica, rivelandosi meno buoni e cattivi di come apparivano all’inizio. Albert picchia e brutalizza Celie, ma è capace di amore, e Shug lo ricambia, come Sophie ama Harpo pur rifiutando di esservi sottomessa.

Più che una semplice riflessione metalinguistica Il colore viola rispecchia allora una passione sia devota che innovativa per il cinema, riproponendo gli stilemi tradizionali e insieme ricombinandoli in rapporto all’emancipazione espressiva dei personaggi: una sinfonia di immagini e voci che attesta il potere rinnovatore e liberatorio del linguaggio.

Autore: Veronica Vituzzi
Pubblicato il 13/11/2015

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