Dossier Steven Spielberg / 18 - Prova a prendermi
Coinvolti in un appassionante duello tra le due facce del sogno americano, Tom Hanks e Leonardo di Caprio incarnano i poli e i temi chiave del cinema spielberghiano.

Prova a prendermi segna un cambio di rotta per lo Steven Spielberg dei primi anni Duemila, almeno nelle apparenze. In contrasto con la violenza e l’oscurità di Salvate il soldato Ryan e delle distopie di Minority Report e A.I. Intelligenza Artificiale, Spielberg dirige un’opera luminosa e leggera che racconta, da una prospettiva diversa, i temi fondanti del suo cinema. Film di trasparenza ingannevole, Prova a prendermi è una ricca filigrana di cinefilia, estetica ed etica.
Siamo nei primi anni Sessanta a New Rochelle, nello stato di New York. La famiglia Abagnale è rispettata e relativamente benestante finché il padre (un Cristopher Walken in una delle sue massime interpretazioni) non viene investito da problemi fiscali che incrinano le basi della sua stabilità economica e affettiva. Posto di fronte allo sgretolamento del nucleo famigliare e messo alle strette dalla responsabilità di scegliere un genitore per l’affidamento, il figlio Frank (Leonardo di Caprio) fugge di casa. Senza un soldo e con un libretto di assegni scoperto, Frank impara rapidamente a sopravvivere affinando i talenti del falsario e inventandosi una nuova identità. Passandosi per pilota di aerei, Frank diventa molto ricco e l’entità delle sue frodi attira l’attenzione di un ispettore dell’FBI, Carl Hanratty (Tom Hanks), deciso a dargli la caccia. Le identità e gli inganni si moltiplicano, mentre la delicata partita tra i due rivali si trasforma in un rapporto più profondo.
Rivedere Prova a prendermi a quindici anni di distanza presenta un innegabile vantaggio: mai come oggi, al netto della visione di Lincoln e de Il ponte delle spie, è chiara la parabola autoriale di Steven Spielberg. L’umanesimo profondamente radicato nell’identità americana, la messa a fuoco della figura del Padre e la costante interrogazione del senso della Legge di fronte alle aspirazioni dell’individuo sono elementi seminali di uno Spielberg maturo, di precisione cartesiana, determinato a costruire uno sguardo sul Novecento e sul cinema hollywoodiano classico che si prende carico del presente e del futuro. Frank Abagnale Jr. è il ribelle, l’estraneo al sistema, la contraddizione incarnata che spinge la società a specchiarsi e riflettere sulle proprie contraddizioni e i propri limiti. Come E.T., il robot di Intelligenza Artificiale o la spia russa de Il ponte delle spie, Frank mette in crisi un sistema di regole. Alle regole, e ai suoi custodi, non importano le aspirazioni o le ambizioni, né le promesse di un figlio a un padre o i fantasmi di un adolescente costretto a una fuga senza fine.
Proprio qui, incuneato in una contraddizione di difficile risoluzione, si situa il cinema di Spielberg. L’apertura al possibile, alla redenzione o alla giustizia, ricade sulle spalle dell’individuo, elemento minimo e cellula del più grande organismo sociale. Tom Hanks è l’uomo comune spielberghiano, il lavoratore e padre di famiglia che ha il coraggio di essere intransigente senza venire meno alla propria umanità. Dopo la morte del padre biologico, Hanratty si fa figura paterna e tende la mano a quello che dovrebbe essere il suo nemico: lo riporta dalla parte della Legge. Spielberg non è un rivoluzionario: lo si può considerare, piuttosto, un riformatore che crede nel mito americano, pur essendo consapevole delle sue perversioni. Il cinema è il suo strumento di elezione per raccontare e intervenire sul reale, o almeno sulla sua immagine. Raramente, in Spielberg, le separazioni restano nette e indissolubili. Nel caso di Prova a prendermi, le inconciliabili barriere che dividono uomo e uomo sono abbattute. Dualismo e rivalità non si risolvono, come nel celebre e per molti aspetti speculare duello di Heat – La Sfida, in una irrimediabile separazione di sangue, nella neutralizzazione del Diverso.
Dunque, il cinema può ricucire le fratture e ritrovare la potenza di uno sguardo unitario sul mondo. Se è questo l’Occhio del Novecento (già ricordato dal nostro Attilio Palmieri nello speciale su Il Ponte delle Spie), Spielberg ne è uno dei pochi, grandi esponenti dopo la crisi del cinema classico hollywoodiano. La finzione e la maschera, lungi dall’essere valori assolutamente negativi, possono essere strumenti per esplicitare verità e giustizie di secondo ordine. Il cinema mente per poter essere vero ad un livello immaginario, ideale, mitico. E chi è Frank Abagnale, se non un attore fuori controllo e inghiottito dal suo stesso Metodo, da ricondurre ad un uso etico del proprio dono?
Spielberg è l’autore della possibilità, del salto della fede: il mito e la favola entrano in contatto con la dura, scabra realtà del mondo e vi infondono nuova vita. Questo è cinema etico, cinema classico per vocazione prima che per stile: l’uomo è un eroe, il paradiso non è ancora perduto. Tendere una mano può cambiare il mondo, ci ricorda Fritz Lang. Gli uomini (e le donne) tutti d’un pezzo sono costruttori di ponti e di nuove occasioni.