Dossier Pedro Aguilera / 1 - La influencia

La parabola di disfacimento psico-fisico di una madre che ha perduto la necessità di sopravvivere.

Nel 2007 alla 39ma Quinzaine des Realisateurs, lo spagnolo Pedro Aguilera debuttava con La influencia, mostrando da subito e senza mezzi termini un carattere autoriale risoluto e provocatorio, controllato nella forma, ma sfuggente nelle intenzioni e pertanto imponderabile quanto alla mutevolezza di spirito che avrebbe connotato la sua filmografia successiva. Una filmografia esigua, soli tre film all’attivo, ma si dirà di una poetica abissale se si considera ciascuna opera come universo incompiuto di spirali di senso, ciascuna in se stessa e ciascuna in relazione alle altre. Con realismo palpabile, quasi disturbante, asettico ma estremamente enigmatico, La influencia precipita nella storia di solitudine e depressione di Genna, madre indolente di due ragazzini, schiacciata dal fallimento economico del negozio di cosmetici che gestisce, rassegnata all’impossibilità di un qualsiasi riscatto. La parabola di disfacimento psico-fisico è ormai a picco, Genna è colta nel suo accanimento terapeutico alla vita, la dipendenza da farmaci, che le diano almeno una parvenza ambulante, presenza riconoscibile, anche se muta e apatica. Messo in scena è infatti il lentissimo sbiadire dell’esistenza nel darsi quotidiano, nelle azioni di routine, nell’automatismo dei piccoli gesti, quanto basta a non infierire bruscamente sulla normalità familiare, fatta di cene insipide e laconiche tra mura desolate, stracolme di giocattoli e assordate dalla Tv. Genna s’aggrappa alla meccanicità casalinga come mimesi del suo perdersi, scolorire per sparire tono su tono. Metafora affatto astratta, che improvvisamente si concreta nella lunga carrellata laterale che segue Genna camminare per strada costeggiando una parete dall’intonaco slavato del medesimo colore dei suoi abiti anonimi e scialbi: un grigio ghiaccio sporco, che dissimula il corpo in movimento, di contrasto al procedere del volto pallido e scarno. Che l’afflizione che ancora la smuove, sia sofferenza esclusivamente introversa, invisibile agli occhi altrui, Aguilera si incarica di marcarlo subito, attraverso un virtuosismo stilistico che, coincidenza o meno, successivamente avrebbe connotato in modo determinante la Melancholia von trieriana, ovvero l’apoteosi cosmogonica dell’influenza depressiva. Così il regista ci restituisce lo strazio d’impotenza, l’implosione serrata e patetica nel contrappunto epico di musica classica sulle immagini in slow motion del via vai di gente fuori del negozio di Genna, indifferente al suo consumarsi catatonico dietro la trasparenza della vetrina di prodotti di bellezza. E poi con lo stesso medesimo estetismo concede allo spettatore una sospensione pari ed opposta, un momento di respiro insperato, quasi catartico, quale è la scena della doccia, la stretta sull’enfatizzato scrosciare dell’acqua sul volto, in un frangente rubato, sfogo quasi imposto, a cui l’irreversibile aridità dell’animo non sa più rispondere. La vocazione per un’immagine che attraverso la manipolazione estetica sia restituzione psichica recondita, troverà senza dubbio maggiore spazio nell’opera seconda di Aguilera, Naufragio, che ancora inquadra un protagonista imperscrutabile e impassibile, ma almeno agito (più che agente) da una forza mistica e misterica, spedito al raggiungimento di una meta, che ciononostante, sarà ancora una sparizione. Qui, l’inerzia sensibile de La influencia, troverà il proprio contraltare in accelerazioni convulse.

E mentre Genna va eclissandosi, la contropartita va emergendo, quella dei suoi figli, tanto avvezzi all’assenza mentale della madre, da vivere estraniati i suoi giorni d’abbandono a letto, liberi di imbrattare la casa di colori e giochi. Il loro ammazzare il tempo della monotonia domestica, ammazza anche Genna nell’insinuarsi dilatato e indisturbato della morte. Il risvolto macabro è il colpo di coda sferrato dal regista, che dopo aver anestetizzato lo snodarsi della vicenda, catalizza bruscamente la sottrazione repressa nel sorriso inquietante e insanguinato dei ragazzi, che per reazione ed espiazione cercheranno a loro volta la morte nel modo più immediato e violento, schizofrenico possibile. Figli, che ai margini della lenta catastrofe materna, inconsapevolmente ne ricalcavano e bruciavano già le tappe, ne saggiavano nel gioco infantile e nella ribellione adolescenziale, la predestinazione alla perdita d’identità e alla fuga allucinata. Motivi in nuce al suo esordio e su cui Pedro Aguilera getterà ampiamente lo sguardo, nell’epilogo ufficioso di una sorta di trilogia della corruzione dell’animo, quale sarà Demonios Tus Ojos.

Autore: Carmen Albergo
Pubblicato il 31/07/2017

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