Dossier Paul Verhoeven / 11 - Starship Troopers

Fanteria Spaziale Mobile: dalla Golden Age agli eccessi audiovisivi del nuovo millennio

"Non esistono armi pericolose, esistono solo uomini pericolosi" – Starship Troopers, Robert A. Heinlein

Dopo quel girotondo d’immagini rocambolesche che si rincorrono senza freni discendendo le montagne russe del cinema hollywoodiano, nella visione marziana che Verhoeven dimostra, con ironia pungente, di saper manipolare in Atto di Forza; dopo che il racconto di uno dei più importanti, e venerati, e acidi, e trasposti autori di fantascienza statunitense, Philip K. Dick, viene decostruito in fabula, in intelaiatura per una grande bouffe audiovisiva, scanzonata e mutante; dopo tutto questo, Paul Verhoeven, decide di trasporre un romanzo per certi versi difficile, un romanzo che ha diviso il gusto ed il cuore dei lettori, una lettura tacciata di nazionalismo e fascismo, stiamo parlando, ovviamente, di Starship Troopers (1959), scritto da uno dei padri della Golden Age statunitense: Robert A. Heinlein.

Sarebbe non solo opportuno, ma anche necessario, risalire al conflitto vietnamita per spiegare la nascita del romanzo di Heinlein. La capacità di trasposizione di un conflitto reale in un conflitto ideale, in questo caso fantascientifico e interstellare, è da sempre prerogativa del genere, sia cinematografico che letterario. Ragni che escono dalle buche, mega cervelli che nella tane gestiscono l’invasione di interi pianeti, la mancanza di paura delle truppe, il sangue e le lacerazioni in un conflitto combattuto in una terra straniera, una strategia della guerra su scala industriale, sia se intesa in capacità di strumenti bellici (con il napalm in Corea, con l’aviazione nel libro, e con il terrore del nucleare) sia se intesa in capacità riproduttiva dei corpi annientati e poi riformati, rigenerati, perlopiù infiniti. E se Heinlein già allora prevedeva un conflitto sanguinario, e perdente - la guerra toccherà le vette più atroci negli anni 1965 – 1972 - Verhoeven alle porte del nuovo millennio prevederà la nostra voracità di immagini condivise, quel flusso voyeuristico incontinente ed intercontinetale, in quanto già interconnesso, che attraversa con impeto tutti i medium coinvolti nel suo traffico, convogliando nello sguardo mai sazio del singolo spettatore cannibalico audiovisivo del nuovo millennio.

Partiamo dal presupposto che il libro di Heinlein è un romanzo perlopiù filosofico, che crea una nuova utopia – sociale e federale - in un futuro militarista e distopico. Aggiungiamo a questa considerazione che le critiche – le più moderate e fondate – si soffermano sul lato legato al cameratismo e al diritto di voto concesso solo a chi ha effettuato i due anni di servizio militare. Ed escludiamo dall’equazione quel lato squisitamente filosofico che arriva ad avere il romanzo su certi argomenti facilmente fraintendibili. Cosa rimane del libro nel film di Verhoeven? Starship Troopers non è (come non era per Atto di Forza) la trasposizione fedele del romanzo di Heinlein, ma una nuova opera, racchiusa in una visione ipercinetica, beffarda, cinica, premonitrice, e puramente cinematografica, che l’autore olandese riesce a ricreare partendo dal materiale letterario di partenza. Divincolandosi dall’aspetto filosofico, e lasciandone solo un brevissimo richiamo nelle lezioni che Rico e i suoi amici seguono in classe - lezioni che sia nel romanzo sia nel film sono istituite da un veterano di guerra che insegna Storia e filosofia morale e che sono alla base del romanzo - il film è un war movie incentrato su tre amici, appartenenti a tre diverse forze della Federazione, la marina, l’intelligence e la fanteria. E se il romanzo è un inno alla Fanteria Spaziale Mobile il film è una lode all’amicizia interforze. Il cameratismo viene soppiantato dall’azione sfrenata, la filosofia dall’ironia, le tute potenziate vengono sostituite da semplici fucili di fanteria, il militarismo gerarchico si scioglie nell’amicizia, la Morale deflagra nella ludicità cinematografica, il senso di responsabilità legato alla cittadinanza involve, ed allo stesso tempo evolve, in una feroce critica al voyeurismo informativo e tentacolare, il serio diventa faceto, e il divertimento è assicurato. Starship Troopers, nonostante sia uscito nel 1997, non è un film per lo spettatore di quegli anni, è un film per noi, spettatori del nuovo millennio, un film che si beffa della della nostra fame scopica, della nostra voglia di interazione ossessivo compulsiva, della nostra necessità alla condivisione ed all’interazione con uno schermo che ossessiona la mente affamando gli occhi. Un film semplice, lineare, che non sopporta aerei voli pindarici su una morale che si da per schiacciata, superata dalla mercificazione e dalla riproducibilità dell’immagine, un occhio real time oblungo, che arriva ovunque, sul campo di battaglia come in una classe superiore, che allunga la mano allo spettatore, che gli prospetta di assecondarlo, di interagire con esso, con le sue notizie, con i suoi scoop, con quell’intrusione che non nasconde il sangue, la morte, i ragni e che ricostruisce tutto, creando il nesso logico, e spattatoriale, tra reale ed immaginario. Verhoeven questo ancora lo sa (il corpo della Huppert in una sagoma virtuale in Elle), e già venti anni fa, prima ancora del duemila, provava a farcelo digerire.

Autore: Giorgio Sedona
Pubblicato il 15/05/2017

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