Dossier Joe Dante / 17 - The Hole 3D

Joe Dante indaga il profondo dell'animo umano, calando il suo sguardo all'interno di quell'oscuro buco dove ognuno scarica i propri rimpianti, le proprie paure e i propri rimorsi.

Ogni persona in sé nasconde un buco dove scarica i depositi di scheletri sepolti nei rimorsi, tra i rancori o sopra i rimpianti. Un canale di transito attraverso il quale veicolare interi mondi fantastici o profonde paure rimosse. Dopo aver portato la fantasia oltre lo spazio consentito, averla spedita nell’universo insondato, cavalcando un’astronave costruita con rifiuti sub-urbani (Explores), e dopo averci costretto all’interno di una navicella miniaturizzata a viaggiare tra flussi sanguigni cellulari (Salto nel buio), Dante apre lo scantinato di casa e trova un pozzo profondo, malefica porta verso il meraviglioso, cunicolo perpendicolare in caduta libera su quel rimosso oscuro di natura psicologica, antropologicamente umana, buia e fanciullesca. Un condotto verso l’altromondo, una tana simile a quella in cui l’Alice carrolliana cadde.

In una fetta di America provinciale, microcosmo confinato da giardini curati e da facciate di case rassicuranti (la stessa plastificata suburbana provincia di L’erba del vicino), una famiglia si trasferisce nella nuova casa. Susan Thompson (Teri Polo) è la madre, divorziata da un marito violento e galeotto, di due giovani ragazzi, il più grande Dane (Chris Massoglia) è attratto dalla giovane e nuova vicina di casa, Julie (Haley Bennett), mentre il più piccolo Lucas (Nathan Gamble), lotta con la recondita paura dei pupazzi. Tutti e tre scopriranno un buco nello scantinato della nuova casa, la discesa sigillata con l’incantesimo che si estende nell’infinita oscurità genitrice di mostri e fantasmi; rimossi e dimenticati in quel pozzo che scende perpendicolarmente in basso sul nostro inferno personale, vuotando le cantine delle nostre anime e personificando le nostre più recondite paure.

The Hole di Joe Dante è un ritorno e sintesi di molto suo cinema, non l’apice di massima riuscita qualitativa cinematografica ma una perfetta ricapitolazione di molte sue tematiche ed estetiche, soprattutto verso quelle rivolte e legate alla crescita del giovane individuo. Il film di Dante scava nel tessuto rimosso dei ragazzi rappresentati, ognuno di loro inseguito dalla paura mai affrontata. Per Dante l’infanzia e la pubertà sono i momenti più delicati che un individuo possa vivere. Un film che rivolge il suo sguardo dentro il fondo dell’animo umano giovanile, in maniera anomala rispetto alla sua filmografia, trattando delle tematiche psicologiche di rimozione dei traumi personali, riuscendo a non denaturalizzare, comunque, la sua macchina ludica. Attraverso le differenti identità che dall’oscurita salgono per materializzarsi nel mondo reale, Dante ha la possibilità di raccontarle usando i generi di riferimento che ben gli appartengono. Dai pupazzi animati che tengono sveglio il fratello minore, dichiarando una acuta pupazzofobia forse di natura personale, al rimorso dell’amica lasciata cadere nel vuoto, fino al terrore per un padre violento e galeotto che torna dall’oscurità ingigantito dalla paura che esso genera, i generi di riferimento si fanno strana nella rappresentazione della storia. L’uso della terza dimensione, di carattere puramente posticcio su una storia che funziona anche se in 2D, recupera il suo valore ludico nella meravigliosa scena finale (già solo questa varrebbe come etichettatura dell’uso del 3D), dove Dante lascia che lo scontro finale si combatta con una lotta fisica all’interno di un mondo dalle linee curve, dai toni freddi, e dai chiaroscuri pesanti, un universo in tinta con l’estetica cara all’espressionismo tedesco. Come a voler dichiarare che nel fondo del pozzo culturale e psicologico del regista c’è un mondo che si richiama esplicitamente ad un preciso momento della Storia del cinema. La base immaginifica dove poter scherzosamente richiamare molto sua cultura cinematografica; quella fonte d’orrore e d’oscurità del richiamo all’horror, stile estetico del suo cinema attento al genere (dal b-movie allo sci-fi anni ’50) a cui è tornato un padre, ritrovandolo nell’espressionismo tedesco, contro il quale confrontarsi. Solo ancora le energie della fanciullezza ad affrontare e risolvere le incombenze degli adulti che non hanno occhi per poter guardare oltre il velo della realtà.

Immagine rimossa.

L’oscurità per l’età adulta è da affrontare con la luce accesa, come il precedente proprietario della casa, divenuto un folle che vive all’interno di una giungla di lampadine. Il rimosso se non affrontato direttamente in una certa età di crescita genera paure contro le quali l’adulto può soltanto che fuggire; in questo caso, disegnando gli orrori su un taccuino da ricollocare in una visione d’insieme per essere riconosciuto. La paura per Dante nasce dall’incomprensione del proprio rimosso, che si presenta come un piccolo tassello necessario per una visione più ingrandita, parte di un insieme che nega allo sguardo il suo significato. Come i disegni che Alice desiderava nel suo ideale libro, queste brevi catarsi grafiche si inchiostrano dell’oscurità del buco, del passaggio verso un qualcosa di distante e soprannaturale, di un altromondo dove le regole si distinguono tra estetiche fotografiche, tagli di montaggio e messe in scena identificative, un passaggio costruito su un patto di autenticità fantastica che lega il regista narratore allo spettatore. Lasciando che quest’ultimo oltrepassi la parete della realtà invadendo lo spazio della finzione (o viceversa), al di là di una realtà che da specchio/schermo ci mostra chi realmente siamo, mostrandoci, nel loro insieme, le nostre paure più recondite e lasciandoci il tempo di riconoscerle ed affrontarle.

Autore: Giorgio Sedona
Pubblicato il 09/12/2014

Articoli correlati

Ultimi della categoria