Dossier H. P. Lovecraft /3 - ''The Call of Cthulhu'' e ''The Whisperer in Darkness''
Mito e passione negli adattamenti lovecraftiani firmati dalla H.P. Lovecraft Historical Society.

Sean Branney, Philip Bell e Andrew Leman: nomi che ai più possono dire poco o nulla ma è sufficiente menzionare il fatto che siano i fondatori della H.P. Lovecraft Historical Society (HPLHS/The Society) per accendere la curiosità degli appassionati del Solitario di Providence.
L’associazione, nata dall’amore comune per gli scritti lovecraftiani, prende piede nel 1986 a Boulder, Colorado, dopo innumerevoli serate trascorse a giocare a Call of Cthulhu, il gioco di ruolo – edito negli USA nel 1981 dalla Chaosium – che questo gruppo di amici fece diventare ciò che oggi conosciamo come Live Action Role Playing Game: travestimenti e interpretazione dei personaggi, teatralità e creatività, il dare forma e azione a quello che era un semplice gioco di società. Branney, Bell e Leman misero a punto un sistema di regole che diede vita all’ormai celeberrimo live action Cthulhu Lives!: i giocatori iniziarono a ritrovarsi in cantine e case abbandonate, luoghi da brivido che fornivano l’atmosfera giusta per la messa in scena dei racconti lovecraftiani.
Un giorno ebbe luogo anche un curioso “incidente” nel corso di un live action organizzato da Branney, nel campus dell’Università del Colorado: un gruppo di giocatori travestiti da ninja attaccò alcuni membri del college suscitando l’intervento delle forze dell’ordine, a cui Branney spiegò che il tutto rientrava nelle azioni della H.P.Lovecraft Historical Society, lasciando i poliziotti a dir poco basiti. Dalle esperienze ludiche nacque l’idea di fondare la vera e propria associazione, il cui nome si diffuse piuttosto velocemente tra i divoratori delle opere di Lovecraft, in prima istanza tramite la fanzine mensile Strange Eons; negli anni, e con il trasferimento nei pressi di Los Angeles, la HPLHS si è ingrandita esponenzialmente e ha realizzato un gran numero di progetti, tra cui libri e audiolibri, musica, giochi, approdando anche al mondo della celluloide (nonostante sia arcinoto il rapporto conflittuale tra Lovecraft e il cinema: seppur vi siano innumerevoli film ispirati ai suoi capolavori, la natura stessa dei suoi scritti non è mai stata amica della trasposizione per immagini, a differenza delle opere di Edgar Allan Poe, che si prestano assai meglio alla narrazione visiva).
Il primo film realizzato dalla Society giunse nel 1987, The Testimony of Randolph Carter, mediometraggio di 50 minuti edito in VHS, trasposizione dell’omonimo racconto – noto in Italia come La dichiarazione di Randolph Carter – scritto nel 1919 e facente parte della saga legata al personaggio, conosciuta anche come Il ciclo dei sogni. Carter è un occultista che, in seguito alla scomparsa dell’amico e compagno di studi esoterici Harley Warren, viene interrogato e decide di mettere per iscritto la sua deposizione, ben sapendo che non verrà creduto. Una short story splendida e agghiacciante, portata sullo schermo con mezzi assai poveri e in forma teatrale, co-prodotta dalla Pocket Change Productions. Andrew Leman si occupò sia della sceneggiatura che della regia mentre Sean Branney interpretò il ruolo principale; l’opera non è mai uscita in formato dvd ed è di difficile reperibilità, eccezion fatta per riversamenti da VHS di bassa qualità. Bisogna quindi attendere fino al 2005 per quella che è a tutti gli effetti considerata come una delle migliori trasposizioni delle opere di Lovecraft, ossia The Call of Cthulhu, tratta dal celeberrimo racconto parte dell’ormai leggendario e omonimo ciclo.
Sono trascorsi ben diciotto anni dalla prima fatica cinematografica della Society e la differenza qualitativa è abissale: mediometraggio della durata di 47 minuti, realizzato con un budget di circa 50.000 dollari e con cura certosina, il film è girato nello stile del cinema muto, in bianco e nero con didascalie (che nel dvd sono tradotte in ben 24 lingue) che immerge completamente lo spettatore nell’epoca del racconto. Impreziosito da un magnifico score originale sinfonico, The Call of Cthulhu è un piccolo gioiello, realizzato in Mythoscope, brevetto dell’associazione e frutto di un mix di tecniche cinematografiche vintage e moderne.
L’opera è nuovamente diretta da Leman, e adattata per lo schermo da Branney. Il mediometraggio ha ricevuto critiche entusiastiche, riuscendo nell’intento di trasporre in immagini un racconto da sempre considerato non traducibile nel linguaggio cinematografico, con un’operazione realmente filologica: lo scritto è ricostruito meticolosamente, seppur condensato nella durata, e presenta un rigore stilistico impeccabile. La passione del gruppo per la materia trattata traspare da ogni fotogramma e la malvagità dell’universo lovecraftiano assume un fascino irrestistibile e mesmerizzante: la fulgida bellezza del Male, nel mito dei Grandi Antichi, varca i confini dello schermo, in un’operazione affettuosa e curatissima. Gli effetti speciali, in primis i props utilizzati per mettere in scena il mostruoso, possono far sorridere nella loro ingenuità ma ciò non può essere considerata una pecca, vista l’ovvia difficoltà di dare corpo fisico alla cosmogonia lovecraftiana. Inoltre la HPLHS ha dichiaratamente voluto restare fedele allo spirito del tempo, ossia ai primi del ‘900 e al suo cinema, escludendo l’uso del CGI e impiegando tecniche proprie della cinematografia degli albori.
Nel 2011 è la volta di The Whisperer in Darkness, dall’omonimo racconto pubblicato per la prima volta su Weird Tales nel 1931. Il film è un lungometraggio da 107 minuti, quindi adattato alla lunghezza dello scritto, ed è la prima produzione della HPLHS Motion Pictures: la society è ora anche una movie factory, in seguito agli ottimi frutti raccolti dall’opera precedente. Andrew Leman lascia il timone della regia a Sean Brenney e i due adattano la novella a quattro mani, riuscendo nuovamente nell’ardua impresa di realizzare una trasposizione assai convincente di un’opera letteraria per sua natura ostica.
Per i primi due atti, mantenendo dunque la struttura dello scritto originario, la trama segue fedelmente il racconto, con Matt Foyer – già presente in The Call of Cthulhu – nei panni di Albert Whilmarth. Il finale, per contro, differisce notevolmente da quello della novella, maggiormente rassicurante. Stando alle parole dello stesso Brenney, dal making of del film presente nel dvd, Lovecraft “era più abile nello snodo del racconto piuttosto che nei finali” e, dal punto di vista della drammatizzazione per immagini, l’ending lovecraftiano sarebbe risultato in un plot filmico incompleto. Anche l’introduzione del personaggio di Hannah e l’apertura del portale di Yuggoth sono servite allo scopo di rendere il racconto adatto alla forma cinematografica, così come l’approfondimento emotivo della figura di Wilmarth. Brenney spiega anche la presenza del biplano, assente in Lovecraft: “ se vi sono dei mostri che volano, allora deve esserci un combattimento con un biplano”.
Lo stile è quello degli horror anni ‘30 e si utilizza ancora il bianco e nero: anche in questo caso gli effetti speciali possono far sorridere ma l’accuratezza dell’operazione riesce a surclassare una mancanza che, come in precedenza, è per sua natura inevitabile.
Il ricchissimo sito web della HPLHS riporta un ulteriore titolo, non ancora realizzato: trattasi di A Shoggoth on the Roof - The Mockumentary, incentrato sull’omonima parodia (sempre a cura della Society) che mescola il musical agli scritti lovecraftiani. La sezione dedicata al progetto è ancora in costruzione, per il momento viene riportato che gli interpreti saranno Stuart Gordon (regista da sempre vicinissimo a H.P.L) e Chris Sarandon: per ulteriori dettagli e informazioni, il website rimanda a un successivo aggiornamento.
In conclusione, nella molteplicità di pellicole ispirate alle narrazioni del Solitario di Providence, le opere realizzate dalla HPLHS possono essere considerate come oggetti a parte, frutto dell’amore e dello studio di un gruppo di appassionati, accurate e filologiche, a modo loro magnifiche nella loro apparente ingenuità.