Dossier Giovanni Cioni / 6 - Depuis Le Retour (Dal Ritorno)

Un intenso film-intervista in cui si racconta Silvano Lippi, sergente italiano che ha conosciuto la violenza e la follia dei campi di concentramento dell’Egeo, della Germania e dell’Austria.

Come già Per Ulisse e Nous/Autres, anche Depuis Le Retour – ultimo lavoro del regista Giovanni Cioni – racconta un ritorno. L’Ulisse, per così dire, di questo film-intervista intenso e toccante è Silvano Lippi, sergente italiano che ha conosciuto la violenza e la follia dei campi di concentramento dell’Egeo, della Germania e dell’Austria. Cioni, con la naturalezza che sempre caratterizza il suo cinema, lascia il protagonista assieme ai suoi ricordi, laceranti e terribili, pesanti come macigni, senza entrare in campo per non forzare eccessivamente il libero fluire dei pensieri di Lippi. Si limita, di tanto in tanto, a dare un input al racconto con brevi osservazioni o domande che ascoltiamo dalla sua voce off. Ma basta questo suo sfiorare la massa densa e nera della memoria che tutto, nella mente dell’anziano sergente, viene giù come una rovinosa valanga. I ricordi, che spingono per uscire fuori catarticamente sotto forma di tremendi racconti, a distanza di circa settanta anni sono ancora perfettamente in grado di spalancare abissi, in cui perfino lo spettatore teme a tratti di perdersi. E stupiscono, allora, la pazienza e la forza d’animo di quest’uomo dal volto assieme mite e severo, che dopo l’inferno è tornato sulla terra, cercando una vita dopo la vita, cercando giorno dopo giorno di resistere all’orrore che, seppure è cessato, è rimasto tuttavia intatto – pulsante, indelebile – nella memoria.

Immagine rimossa.

Depuis Le Retour (Dal Ritorno) ci racconta la storia da un punto di vista tutto interno, ci obbliga a pensare l’abominio e il dolore in prima persona, ci fa vedere le torture e le malattie (o meglio, ci racconta) in soggettiva. Non ci sono i dati e i numeri della grande Storia qui, ma la mera, agghiacciante quotidianità del campo di concentramento. Cosa sognavano, cosa gridavano i prigionieri durante le interminabili notti. Com’erano i corpi straziati che Silvano Lippi, di volta in volta, era costretto a tirare fuori dalle camere a gas. Cosa accadeva giorno dopo giorno alle ferite impossibili da medicare. Quanto poco può pesare un uomo ridotto letteralmente pelle e ossa alla fine della prigionia. E ancora, che cosa si è disposti a fare, fino a che punto ci si può spingere, pur di sopravvivere.

Silvano Lippi ha la voce leggera e a tratti incerta di un uomo della sua età, una voce a volte irata e a volte dolce, o incrinata dal pianto. Ma le sue parole sono lapidarie, scioccanti, hanno la durezza della pietra e la potenza di un incubo. Davvero, a questi racconti non si può e non si deve aggiungere nulla. E Cioni procede infatti nella direzione di un necessario minimalismo mettendo assieme un film in cui le immagini più potenti non sono tanto, o non solo, quelle che vediamo, ma piuttosto quelle che le parole precise e categoriche del protagonista sanno tragicamente, nitidamente, evocare. Se è vero che filmare la morte, come diceva Bazin, è un atto di “oscenità metafisica”1 , allora Depuis Le Retour rimarca una scelta di campo etico-estetica quando lascia la morte – l’immagine, o le immagini, della morte – fuori campo, per essere invece, quasi completamente, un film di parole. E non a caso, in uno dei passaggi più forti e crudi del racconto di Lippi, di fronte alla descrizione di una morte che si concretizza in tutta la sua aberrante portata, il regista dissolve in nero l’ultima inquadratura, a invocare un buio che ammanti ogni cosa in un atto di rispettosa, dovuta misericordia.

Tra le poche incursioni puramente visive in questo inferno tutta raccontato ci sono le immagini silenziose di Mauthausen, ora un museo deserto e spettrale, da dove Cioni telefona in Italia a Silvano Lippi, che a distanza di molti decenni ricorda ancora perfettamente ogni bunker e ogni angolo del campo.

Immagine rimossa.

Questo film è anche il tassello finale di quel doloroso percorso che ha permesso al protagonista di esternare i propri ricordi e forse, in parte, di vincere finalmente la battaglia contro di essi dopo un lunghissimo periodo di totale silenzio. Silvano Lippi, che dopo il duemila ha raccolto in un libro e in un sito web le sue memorie, si è scontrato infatti, in passato, anche con questo: lo scetticismo dei familiari ritrovati dopo la guerra, che facevano fatica a credere agli orrori che il giovane figlio, devastato fisicamente e mentalmente, descriveva; e – possiamo immaginare - più in generale, l’atteggiamento di una intera popolazione sbigottita e prostrata che tentava, in un disperato anelito a sopravvivere, di dimenticare. Ma a chi ha vissuto tutto sulla propria pelle dimenticare non è concesso: restano allora gli incubi, la paranoia, l’angosciosa sensazione di essere seguiti e controllati, la paura costante e ormai irrazionale di essere aggrediti. Per arginare tutto questo, rimane probabilmente un unico tentativo: esorcizzare il dolore attraverso le parole, quelle parole che Cioni, con pazienza ed empatia, raccoglie una per una in questo straziante, preziosissimo documentario.

1 Cfr. Andrè Bazin, Che cosa è il cinema?, Garzanti, Milano, 1999, pag. 32

Autore: Arianna Pagliara
Pubblicato il 05/04/2015

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