Dossier Giovanni Cioni / 5 - Resistere. Per Ulisse e Nous/Autres.
Un cinema che diventa luogo deputato per accogliere e custodire le memorie di chi sopravvive.

Il cinema di Giovanni Cioni, che spesso si muove in quel territorio ibrido, fluido e anche fertile situato tra fiction e documentario, ama scavare sotto e dentro la realtà, riportare entro la cornice dell’inquadratura il non visto, il dimenticato e restituire la voce a chi è stato tacitato, messo a margine. Questo approccio si configura anche come una scelta di campo, anzitutto etica, che si esplica e si concretizza sempre con grande libertà espressiva e autonomia creativa.
Si è già scritto nelle pagine di Point Blank a proposito di Per Ulisse, intenso e fitto mosaico di riflessioni e interviste a una serie di persone che, avendo toccato il fondo, hanno dovuto lottare per tornare a galla: persone che hanno conosciuto la violenza e la droga, vissuto per strada, che sono state abbandonate da tutto e tutti o a loro volta hanno abbandonato, e per questo si portano dentro certi fantasmi con i quali è difficile e doloroso lottare. Per la società sono Nessuno, per Giovanni Cioni sono Ulisse: scampati a mostri e pericoli di ogni genere e a innumerevoli naufragi, sfuggiti agli abissi sono tornati, reduci, alla luce. Hanno dovuto imparare, chi più e chi meno, e sempre pagando un prezzo altissimo, a resistere.
Non è questo l’unico caso in cui il regista posa il suo sguardo, curioso eppure discreto e rispettoso, su simili argomenti. Se il sopravvissuto, il reduce, è colui che ha sempre qualcosa da narrare, allora il cinema – questo cinema – diventa luogo deputato per accogliere questi racconti, custodirli e proteggerne la memoria riportandoli al mondo, al presente. Facendoli, in ultimo, accadere ancora, davanti allo spettatore che si fa necessario interlocutore di un fitto dialogo. Va citato, a questo proposito, l’ultimo lavoro di Cioni, il film-intervista Depuis Le Retour, dedicato a Silvano Lippi, sergente italiano scampato all’indicibile inferno di Mauthausen. Se infatti le infinite peregrinazioni di Ulisse sono metafora dei rischi e dell’angoscia del vivere in una condizione limite, nulla però è più devastante della guerra, male assoluto, secondo le parole di Eraclito padre di tutte le cose.
Sopravvissuti all’esperienza bellica e alla deportazione sono anche i protagonisti di Nous/ Autres, documentario sui generis che racconta cosa vuol dire essere “gli altri”: rifugiati, invisibili, emarginati. Tanto gli ebrei a cavallo della guerra, quanto gli immigrati della Bruxelles odierna, dove il film è girato. L’operazione di Cioni, lontano da semplificazioni, facile retorica e vittimismi di sorta, è sottile e complessa: anzitutto viene qui messo in atto un cortocircuito tra finzione e reale, tra recitazione e racconto di vita e quindi, ovviamente, tra fiction e documentario. Una casa vuota e diroccata diventa lo spazio scenico nudo nel quale attori e non attori raccontano le miserie e le sventure che hanno segnato la loro esistenza, ma al contempo c’è spazio anche per qualche divagazione (il canto, l’opera).
Le fotografie sono l’oggetto in cui si condensano la memoria, il tempo che scorre, il senso di perdita. Sono, queste immagini, le ultime tessere di un mosaico dell’assenza, quella dei propri cari, delle famiglie disgregate dalla guerra che tutto ha spazzato via. Accanto a questa dimensione, lontana, quasi cristallizzata eppure viva nel pensiero e nelle parole chi l’ha vissuta, c’è il presente e la quotidianità. Una normalità dopo la catastrofe, fatta di ore trascorse al bar, chiacchierate e passeggiate lungo i viali. E mentre questi reduci, questi superstiti, cercano di pacificarsi con i loro intimi drammi, altri ne arrivano all’orizzonte. Ma con loro non si identificano i due “protagonisti” - Yann e Helga - scampati ai nazisti: poca empatia, molta diffidenza. E’ un cerchio imperfetto quello tracciato dal film, imperfetto perché reale, capace di abbracciare anche la contraddizione. Ecco allora che oggi, in questa Bruxelles degli anni Duemila, gli “altri” non sono più gli ebrei ma, di volta in volta, gli zingari, gli africani, i kosovari.
Del resto, anche Per Ulisse era ben lontano da ogni sorta di buonismo o edulcorazione: con molto coraggio, i “naufraghi” del centro di socializzazione fiorentino Ponterosso, alla macchina da presa raccontavano i torti subiti (ad esempio, la violenza dei TSO) ma anche quelli fatti (come l’abbandono di un figlio). Quello che accomuna questi due lavori è l’intento del regista di creare uno spazio peculiare in cui il giudizio sia sempre sospeso, e siano invece i fatti a parlare. Come assecondando un imperativo umano e morale prima che cinematografico, Cioni rintraccia storie e persone che si fanno sintomo e simbolo di qualcosa di molto più grande, pur mantenendo sempre ben chiare le coordinate delle vicende personali dei protagonisti. Da una parte la grande storia (Nous/Autres) e dall’altra la società contemporanea con tutte le sue disfunzioni (Per Ulisse): ma il fulcro del discorso è sempre lo stesso, isolamento, emarginazione, razzismo, sofferenza, solitudine. In fondo c’è sempre qualcosa, o qualcuno, che le istituzioni di ogni tempo (sociali, politiche) vorrebbero cancellare, eliminare, relegare in un angolo. Cioni riporta invece tutto questo al centro del suo cinema, costringendoci a far coincidere il nostro sguardo con quello degli altri, eroi e antieroi misconosciuti che sono riusciti, infine, nonostante tutto, a resistere.