Dossier Giovanni Cioni / 2 - Oltre il vero al di là del falso

Tra la realtà e la fantasia: il magico realismo nelle opere del primo periodo belga.

Oltre il vero al di là del falso, il cinema postmoderno agisce su questa linea di confine, instaurando con la realtà un rapporto di reciproco scambio morfologico, espressivo ed identitario. La realtà tanto più derealizzata dalla virtualità del profilmico, dove l’oggetto è sempre più distanziato dal suo referente originario, trova nella finzione un elemento fondamentale da aggiungere al valore simulacrale assunto, nell’epoca postmoderna, dall’immagine documentale. E’ su questa costante tensione tra una realtà rappresentata ma disarcionata dal suo referente identitario e la rappresentazione di una realtà impressionista, filtrata dall’occhio digitale e dal soggettivismo autoriale che lasciano evaporare il peso specifico della realtà rappresentata - aprendo così a scenari di messa in scena del reale in forme cinematografiche emozionali e soggettive - è proprio su questo labile confine postmoderno che il cinema del reale di Cioni si genera e si configura.

Oltre il documentabile con l’obiettivo puntato verso una realtà trasfigurabile, malleabile, un contesto reale per storie in potenza, fibre narrative da ascoltare e veicolare, particellari incipit di storie possibili, avventure da vivere attraverso l’utilizzo del mezzo cinematografico come un diario cartaceo di viaggio sul quale appuntare riflessioni, versi, storie rincorse ad immagini da restituire dense di magico realismo. Costantemente teso verso una realtà alla deriva del reale, verso quei luoghi gonfi di racconti, avvolgendo a sé i fili narrativi di storie comuni riproponendole attraverso tutto il loro febbrile realismo.

Immagine rimossa.

Il cinema di Giovanni Cioni mette sempre in conto l’immaginazione, la possibilità di empatizzare con lo spettatore attraverso una condizione di integrazione partecipativa all’immagine. Lo spettatore è parte attiva dello sguardo come un vettore d’immaginazione, un comple(ta)mento necessario della visione. Sia sotto l’aspetto uditivo, come accade nei suoi lavori Rumeur du monde (Film muti da ascoltare), dove la voluta omissione del suono apre infinite possibilità fruitive allo spettatore, lasciando all’immaginazione uditiva soggettiva la capacità di percepire molto più intensamente i rumori dei taxi per Bombay, o come il rumore del vento impresso nello scorrere sulle immagini, o pronunciando, auto-sussurrandosi, il conteggio dei passi compiuti sulle rotaie dal primo piano del personaggio. Un’immagine sinestetica da integrare, necessaria per ascoltarsi di un processo immaginario esterno. Questo è quanto accade anche ad un livello visivo e cognitivo, come negli Intrepidi, è qui che l’immaginazione arriva a modificare il reale, la finzione diventa realtà, i due piani si manifestano, in maniera distinta, ed interagiscono tra di loro, susseguendosi in uno stretto rapporto di causa ed effetto. Tanto più l’immaginazione dello spettatore è forte quanto diverrà realtà nell’immagine, mettendo in discussione il concetto di verità documentale. Lo stesso accade in Nous/Otres, dove il confine tra realtà e rappresentazione, tra personaggio ed identità, si manifesta in dissolvenza, rimanendo un sottile sovrapporsi d’identità teatralizzate dal quale non è quasi possibile distinguere nella finzione la verità e viceversa; racconti di esistenze ai margini, reiette e non integrate, costrette alla loro eterna ripetizione contraddittoria in un gioco di specchi, nello scambio d’identità riflessa tra il Noi (dell’appartenenza integrata) e gli Altri (dell’esistenza al margine).

Immagine rimossa.

L’integrazione spettatoriale avviene anche ad un livello visivo/partecipativo, come nei lavori Olhos/Yeux, nati dalla collaborazione con l’artista portoghese Marta Wengorovius, dove lo sguardo diventa testimone di una performance artistica. Gli happening organizzati dall’artista portoghese consistevano nell’osservazione collettiva di un evento naturale, come il tramonto, l’alba o l’osservazione dell’astro lunare. Lo sguardo dell’osservatore veniva convogliato in un punto preciso attraverso dei cerchi con al centro un foro d’apertura circolare, grazie al quale l’osservatore poteva veicolare il suo punto di vista, sottraendolo alle distrazioni dell’intero spazio visibile. In questo caso il cinema svolge una doppia funzione, da una parte è testimonianza di un evento unico, supporto di testimonianza di un evento, dall’altra, lo sguardo spettatoriale viene accompagnato da Cioni in una scoperta dell’accadimento, rendendolo partecipante distante di una performance, definendo il suo cinema come un’identità oculare necessaria di un’integrazione spettatoriale vissuta in collettività, che può sincronizzare la visione alla falsa simultaneità della ripresa di un evento unico ed irripetibile come un happening.

Il cinema partecipativo di Cioni comprende non solo la possibilità d’integrazione spettatoriale ma anche la necessità della partecipazione attiva al suo stesso realizzarsi. Sono molti gli esempi in cui Cioni fa dell’esperienza cinematografica il mezzo espressivo adatto a contenere le infinite possibilità narrative contenute nella realtà e ripresa dall’obbiettivo. Il processo creativo e realizzativo dell’opera cinematografica è esso stesso un movimento verso l’avventura filmica, un inizio per dei racconti in potenza, pronti ad essere inclusi nel découpage, instaurando con quest’ultimo un rapporto di interdipendenza. Al montaggio, la selezione delle immagini dell’avventura cinematografica avverrà su un reale ripreso in un fuoricampo sconfinato e sempre possibile, un reale pronto a suggerire sentieri narrativi da assecondare, pronto a generare eventi e conseguenze, intrecci per storie reali quanto fantastiche, racconti e poesie nate dal rapporto tra cinema e l’esperienza nel suo compiersi.

Immagine rimossa.

Un cinema in ascolto. Uno sguardo invisibile tra l’invisibilità dei passanti. Uno sguardo fremente in attesa che una storia si manifesti nella sua esigenza di raccontarsi. All’inseguimento di quella particella di vissuto che si voglia manifestare in narrato. Oltre il vero, oltre il falso, rincorrendo quel sussurro vitale che solo il cinema riesce a cogliere e raccontare. Possibili nuclei narrativi e drammatici pronti a raccontarsi, storie che si adagiano sulla città come fantasmi di un vissuto altrui, come accade in Témoins, Lisbonne, Aout 00, un viaggio dentro Lisbona, nel cuore delle sue storie, dei suoi mitici personaggi comuni, nei racconti che solo una città di mare rivolta verso l’estremo occidente può contenere, passando per quei luoghi di remote esistenze, luoghi di passaggio per identità invisibili, scie opalescenti di storie sussurrate alla luce del sole nell’orecchio dell’Altro, nella fugace trasparenza esistenziale del suo passaggio. Luoghi in cui si barattano "esistenze usate", persone scomparse con qualcosa da rievocare, sulle tracce scritte lasciate sui muri, come la favola del bambino scomparso o come la storia dall’assassino dei treni, in una Feira da Ladra dove si vendono sguardi appartenuti ad altre persone. Uno sguardo che si mette all’ascolto di storie che esistono perché raccontate, tramandate oralmente o scritte sui muri della città, storie incapaci di riuscire a manifestarsi in racconto nell’immagine, concretizzandosi in un’avventura, diventando racconto del reale; restando così in superficie, in un limbo di ascolto, in quel confine tra il lontano e l’indistinguibile. Esistenze e storie che appartengono alla realtà, soggetti e sguardi invisibili, un obiettivo che nel finale arriverà ad estinguersi nella trasparenza, lo sguardo scomparirà in dissolvenza come le traccie lasciate nell’etere emozionale dai corpi degli altri. Cioni si immergerà in una Lisbona metastorica alla ricerca del film da raccontare nel corpo ombroso delle sue leggende.

Immagine rimossa.

Un cinema alla ricerca di se stesso, in stretta relazione con il suo farsi forma compiuta, capace di comprendere il suo divenire, proiettato verso la determinazione nell’individuo reale del personaggio che lo racconti. Un’idea questa che lo accomunerà al regista teatrale belga d’avanguardia Alain Pratel, nel suo intento di portare in scena le persone svestite dai personaggi scritti per le loro interpretazioni, diventando personaggi attraverso le loro singole personalità, essendo – sul palcoscenico - semplicemente quello che in realtà già sono. Il testo teatrale si traduce in un work in progress, un canovaccio aperto a sviluppi drammaturgici legati alle singole personalità coinvolte nelle spettacolo, l’interpretazione attoriale si trascrive in sceneggiatura nel tempo di prova teatrale, il suo fidato sceneggiatore Arne Sierens trascrive il testo finale solo 15 giorni prima dello spettacolo, un teatro coreografico in cui i corpi si muovono trascinati dalla musica, traducendo le emozioni in danza, l’azione in gesto. Cioni traduce visivamente lo spettacolo di Pratel, Bernadetje, una pièce di ispirazione autobiografica per il duo belga, spettacolo girato interamente in un autoscontro, luogo nel quale da bambini i due artisti passavano molto tempo, luogo di transito per immaginari slegati e contrastanti, come il senso del sacro e del profano, la grotta con la madonna dove da bambini si fermavano prima di raggiungere il loro divertimento pagano. Dodici personaggi, perlopiù bambini o ragazzi, tutti con storie di disagio sociale alle spalle, scelti all’interno dei centri sociali, mentre ballano trascinati dal movimento elettrico delle loro esistenze, interpretandosi in libertà, agganciati e trascinati dalle macchine da autoscontro in iperrealistici quadri di umanità abbandonata. In mezzo a loro si muovono due angeliche figure con il vestito bianco della prima comunione, due bambine in preghiera, come a volerci ricordare che tra la realtà in degrado persiste un’anima di purezza ideale. Lourdes/Las Vegas è un’opera composta, stratificata tra il reale della scena nella ripresa dal vero dello spettacolo ed il suo racconto, la vita dei personaggi oltre lo spettacolo, nel dietro le quinte, nelle prove, nel racconto delle varie identità interpretative. Un film che mantiene nella forma finale il suo stesso vissuto, il suo stesso costruirsi, documentando la realtà con lo sguardo lontano, oltre il suo stesso orizzonte, al di là del vero e del falso, nella direzione di quel luogo dove si racconta dell’ultima resistente esistenza.

Autore: Giorgio Sedona
Pubblicato il 26/03/2015

Articoli correlati

Ultimi della categoria