Chuangru Zhe (Red Amnesia)

Wang Xiaoshuai porta al Concorso veneziano un film diviso tra astrazione e didascalismo, un rapporto in cui purtroppo finisce per vincere una struttura a tesi stantia e prevedibile

Deng è un’anziana vedova che ha da poco perso il marito. Energica e caparbia, la donna si ostina tutti i giorni ad aiutare la propria famiglia. Si reca all’ospizio a trovare la madre, va a scuola a prendere il nipote, entra nelle case dei figli per cucinare loro la cena. Trascorre le sue giornate dedicandole agli altri, anche se impone la sua presenza con prepotenza e non accetta discussioni. Ad interrompere questa routine saranno delle misteriose telefonate anonime, a cui seguiranno in crescendo alcuni atti vandalici, segni lasciati da una presenza fantasmatica di cui Deng non riesce a capire l’effettiva esistenza.

Red Amnesia (in originale Chuangru Zhe) esplicita fin dal titolo il suo meccanismo, la propria natura di discorso retorico atto ad affrontare il rimosso del singolo e da lì dell’intero paese. Le telefonate anonime che tormentano Deng sono del resto l’artificio narrativo più logoro ed evidente di un passato nascosto che torna a chieder conto, nutrito da un angolo di coscienza ancora implacata e per questo al confine tra la realtà e l’autoflagellazione. Deng vive tormentata dal suo segreto, i cui strascichi sul presente si confondono con la paranoia creando un perenne stato di semi-allucinazione. Tutta la prima parte del film di Wang Xiaoshuai è giocata su questo confine, sull’alternarsi del reale e dell’inconscio nei termini canonici di un thriller metafisico. E qui Red Amnesia riesce anche a funzionare, nonostante gli strumenti di cui fa uso siano logori e stantii. Per la prima ora abbondante vediamo Deng precipitare in un stato sempre più di confine tra i due estremi, e se anche il gioco viene tirato per le lunghe e la tesi sottostante appare già lapalissiana, la regia fredda e geometrica di Xiaoshuai riesce effettivamente ad insinuare una montante inquietudine tra le sue inquadrature, caricando di tensione una linea invisibile che attraversa le diverse scene crescendo mano a mano che la storia prosegue. Peccato però che questa fascinazione crolli totalmente nella seconda parte, un cambio pelle disastroso in cui il film svela tutta la pochezza della sua struttura.

Verso la fine infatti Red Amnesia si arresta e riparte, abbandona l’astrazione a favore della verità oggettiva, trova alcune splendide sequenze (il ritorno alla fabbrica, il finale ultimo) ma sacrifica ogni fascinazione e ambiguità sull’altare di un racconto a tesi estremamente programmatico, sicuramente indegno della sua cornice formale. La storia di Deng perde così ogni incertezza, facendosi emblema di un più generale rimosso nazionale, eseguito da un paese non pacificato e poco intenzionato a fare i conti con il proprio passato. Il gesto di Deng, quello che causa tutti gli eventi del presente, appare così parte di un meccanismo di reiterazione che influisce su una generazione dopo l’altra. Vittima di un sistema coercitivo, Deng finisce per esercitare a sua volta un’azione di prepotenza, e allo stesso modo nel presente continua ad imporsi sui suoi figli senza possibilità di dialogo. Con un film rigido e didascalico, diviso tra il fascino dell’incertezza e la prepotenza del dato scritto e oggettivo, Xiaoshuai traccia una prospettiva senza via di uscita, esemplificata da quel finale amaro che appare privo di ogni speranza di cambiamento.

Autore: Matteo Berardini
Pubblicato il 04/09/2014

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