Cairo 678

Donne in rivolta nell’esordio registico dell’egiziano Mohamed Diab

Tre giovani donne della capitale egiziana: Fayza (Bushra), sposata e con due bambini, lavora lei e lavora il marito, ma le loro economie sono precarie e pagare la retta scolastica per i figli è un problema; la facoltosa Seba (Nelly Karim), un marito medico che ama, ricambiata, l’inizio di una gravidanza e un futuro che sembra promettere felicità; Nelly (Nahed El Sebaï), che si alterna col fidanzato su palchi di stand-up comedy, sognando contesti più importanti. Appartengono a mondi apparentemente lontani le protagoniste di Cairo 678 (2010), ma i loro destini a un certo punto si incrociano, poiché tutte si ritroveranno a subire da sconosciuti, e in modo diverso, molestie sessuali e violenze psicologiche: sull’autobus, in strada, in mezzo a una folla in festa per la vittoria della nazionale di calcio, al telefono…

Concepito e realizzato qualche tempo prima della rivoluzione anti-Mubarak, Cairo 678 è la prima regia di Mohamed Diab, che ne ha curato anche lo script. Studi di Economia, quelli dell’autore, poi la svolta con la New York Film Academy e in seguito l’avvio di un percorso da sceneggiatore (di successo), affiancato in più di un’occasione anche dalla sorella Sherin e dal fratello Khaled (ultimamente, nel 2014, Decor di Ahmad Abdalla, The Island 2 per Sherif Arafa, col quale aveva già collaborato per The Island nel 2007, lo stesso anno di Real Dreams di Mohamed Gomaa; e ancora The Replacement di Ahmed Alaa e Congratulations di Ahmed Nader Galal nel 2009).

Un film immerso nella realtà del proprio paese, il racconto di un fenomeno sociale assai diffuso, quello delle molestie sessuali, ma troppo spesso culturalmente “soffocato”, reso “invisibile” dalle stesse vittime, un tabù (basti pensare che per il regista è stato molto difficile trovare attrici pronte a interpretare quei ruoli), qualcosa tanto presente nella vita di molte donne egiziane quanto non conosciuta o non percepita spesso nella sua reale portata, sebbene negli ultimi anni qualche passo in avanti ci sia stato. E un merito oggettivo, in questo senso, il film ce l’ha, perché è riuscito senz’altro a portare l’attenzione sul tema in patria, ad aprire varchi di discussione; del resto, se nelle figure di Fayza e Seba – come racconta il regista – confluiscono esperienze e caratteristiche di donne che ha incontrato, che hanno avuto il coraggio di raccontarsi a lui, la vicenda narrativa del personaggio di Nelly rimanda in maniera più diretta a un caso di cronaca di valore politico e storico di certo rilevante: il caso, cioè, di Noha Roshdy, la prima donna egiziana ad aver trascinato in tribunale il suo molestatore, poi condannato a tre anni di reclusione. La prima donna in Egitto, una sentenza del 2008, nulla di simile prima di allora, tutto questo ha catturato lo stupore e la curiosità di Diab, è stata la base fondamentale del film che sarebbe venuto.

Ma Cairo 678 pare custodire e anticipare, in effetti, anche certi umori sotterranei che quelle rivolte nelle strade contro il potere politico del paese avrebbero poi in qualche modo accolto, messo in circolo. Sotto il profilo della sua consistenza formale, invece, quest’opera si muove tra sprazzi quasi documentaristici, movimenti rapidi, nervosi e strutture e incroci che guardano al modello Arriaga-Iñárritu. Diab disegna bene psicologie e ferite, crisi e desideri di rivalsa, ma certi tentativi di entrare più in profondità sanno a volte di drammaturgia aggiuntiva, non mancano dunque sottolineature eccessive, ridondanti, momenti che se non vanno a scapito della tenuta per così dire ritmica, emotiva, del film, quantomeno indeboliscono la sua sostanza narrativa, la sua forza cinematografica, ed è un peccato perché, più che apparire come effettismi, sono elementi che scaturiscono da una scrittura non pienamente riuscita. Uomo e Donna qui sono poli, ma il regista – e in questo riesce molto bene – non crea dicotomie assolute, l’approccio è quello di chi vuole comprendere, imparare, scoprire, e in particolar modo il personaggio del poliziotto (Maged El Kedwany) si rivela, da questo punto di vista, scelta molto interessante, figura che conferisce maggiori complessità e sfumature all’insieme. C’è, insomma, del cinema nel Diab regista, ma deve “liberarsi” anche lui come Nelly.

Clash, quello che sarà il suo secondo film da regista, sempre da lui scritto, un thriller, un film politico sull’Egitto post-Mubarak, potrà dirci forse di più.

Autore: Leonardo Gregorio
Pubblicato il 02/06/2015

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