Arance e martello

Diego Bianchi, in arte Zoro, si improvvisa regista dirigendo un improponibile film che annega nel qualunquismo più becero.

Uno dei problemi principali all’interno del cinema italiano è che tutti – ma proprio tutti – si sentano in diritto di poter prendere in mano una telecamera e dedicarsi spudoratamente alla regia di un film. Personaggi televisivi, blogger, scrittori, cantanti: chi più ne ha più ne metta, come se il cinema fosse il terreno necessario con cui consacrarsi e legittimare il proprio successo. Non fa eccezione Diego Bianchi, conduttore e autore di Gazebo su RaiTre: Zoro si improvvisa regista cinematografico con esiti a dir poco disarmanti. Ultimo nome di una tendenza cancerogena che finisce per nuocere incredibilmente al cinema italiano per totale mancanza di linguaggio filmico, radicale assenza di uno sguardo e, cosa più grave, disonestà intellettuale (concludendosi con una dannosa, insipida dissacrazione fine a se stessa). Arance e martello è forse il punto più basso e allarmante di questa moda nefasta, rivelandosi molto meno innocuo di quanto vorrebbe far credere.

Siamo a Roma, anno del Signore 2011. L’amministrazione locale decide di chiudere il mercato rionale di San Giovanni. I commercianti, dopo essersi rivolti invano alla vicina sezione del PD, decidono di occupare la sede. Diego Bianchi mette in scena se stesso, come testimone della vicenda, sempre pronto a documentare tutto con la sua handycam.

Il problema di quest’alternarsi di linguaggi diversi è la totale carenza di qualsiasi motivazione stilistica: tutto appare come un gratuito minestrone accompagnato da un pressapochismo registico e politico da far impallidire. La selfie-intervista di Bianchi finisce per infastidire e decentrare il film, laddove, probabilmente, sarebbe stato meglio affidarsi completamente alla narrazione.

La Roma di Zoro è popolata di figurine inverosimili, parossistiche tipologie umane più che persone reali, stereotipi stanchi e autoreferenziali all’inseguimento della battutina facile o della strizzatina d’occhio infelice. Dalla coatta che non sa nulla di politica al vecchio comunista nostalgico che aspetta la rivoluzione armata: Arance e martello non ha nemmeno la dignità di un’inchiesta televisiva, perché prende in giro i suoi personaggi, li tratta come statuine di cui ridere tutti insieme. Vorrebbe accusare un intero sistema politico quando finisce per esserne suo prodotto adulante.

L’Italietta più volgare e televisiva continua a disintegrare miti , cadendo in un qualunquismo pericolosamente grillino: una morte ideologica – e morale – che vorrebbe riecheggiare Fa’ la cosa giusta con la convinzione che sia sufficiente sbollare un’inquadratura per fare Spike Lee.

Ennesimo manifesto di come marciare sulle ceneri di un paese e riderci sopra, perché poi, alla fine, rimanga solo uno spensierato volemose tutti bene. Imperdonabile.

Autore: Samuele Sestieri
Pubblicato il 06/09/2014

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