La fantastica signora Maisel (terza stagione)

di Amy Sherman-Palladino Daniel Palladino

Torna su Amazon Prime la serie sull'ormai divenuta iconica signora Maisel, tra sfavillanti tour on the road e rivelazioni inattese.

La fantastica signora Maisel - terza stagione

Per Sophie Lennon, nemesi assoluta della fantastica signora Miriam "Midge" Maisel e celebre comica newyorkese, quella che, citando Susie, l’amica e compagna-di-viaggio/manager di Midge, «ci aiutò durante la Depressione...», per far sì che il pubblico rida bisogna dargli la carne, il proprio corpo. Essere lì su quel palco e restituirgli l’idea che hanno di te senza far vedere nient’altro: avere una maschera. E mostrargli la perfezione. Nel corso della storia, il confronto tra le due comiche sarà fondamentale perché Midge potrà vedere al di là di quel corpo camuffato, logoro e consunto, oltre quel canovaccio arido di battute che Sophie Lennon ricicla dalla Grande Depressione agli anni Sessanta, capendo prima di tutto cosa non voler essere: capirà di non voler incarnare un'ideale a cui tendere né la proiezione di uno sguardo dominante sul mondo, con tutte le difficoltà e i rischi che questa scelta comporta.

E infatti, il monologo sprezzante contro Lennon che le costerà il boicottaggio collettivo dei locali del Village e dintorni (e a Lenny Bruce un’esibizione gratuita sul palco del Gaslight per “riabilitare” il nome di Midge) vuole essere una dichiarazione programmatica e artistica in cui è riflessa tutta la prospettiva femminista della stessa Amy Sherman-Palladino, tematizzando alcune delle questioni fondamentali di La fantastica signora Maisel, ovvero il carattere fuorviante dell’apparenza e il problema dello sguardo maschile nell’industria culturale, in questo caso nell’ambito della stand-up comedy degli anni Cinquanta-Sessanta.

Durante i suoi monologhi, Midge riflette su quanto sia faticoso squarciare i veli dell’apparenza e reinventarsi, rinascere “altra” ma rimanere allo stesso tempo sé stessa, fantastica, dopo la crisi, all’indomani della separazione da Joel. O quanto non si riesca né si voglia più fingere di essere chi non si è per compiacere lo sguardo e le aspettative altrui. Che si tratti di un marito, della famiglia o dell’ambiente sociale, nel caso di Midge, alto-borghese, in cui si cresce. Negli anni Sessanta a nessun maschio interessava vedere una donna su un palco né tantomeno una donna su un palco fare stand-up comedy alla maniera irriverente e acuta della signora Maisel. Tutti si stupivano guardandola parlare così liberamente di sé, di famiglia e politica, di sesso, irrigiditi dal fatto che abbia l’ardire di fare battute a sfondo sessuale perfino su suo marito e suo padre. Nessun maschio voleva sentirsi minacciato e messo sotto scacco da questa sua forza.

Nella prima e seconda stagione Palladino si sofferma sulla progressiva costruzione e ri-definizione del personaggio di Midge e sulla creazione della sua identità artistica, di comica, anche e soprattutto con l’aiuto di Susie, entrambe alle prese con un mondo asservito al potere di soli uomini. Susie vive in un bugigattolo, ha pochi soldi e sempre gli stessi vestiti, e tutti la scambiano per uomo. È in un certo senso la sua controparte, una freak e probabilmente unica vera amica nei cui occhi Midge ha il coraggio di riflettersi. Non a caso è stata Susie a coglierne il talento, durante quel primo ebbro e stralunato monologo sul palco del Gaslight, dopo la fuga di Joel e poco prima del giorno in cui tutto avrebbe dovuto essere perfetto: il rabbino, lo Yom Kippur, il matrimonio. Ed è proprio in questa parte della storia che la scelta di Midge comincia a concretizzarsi, dirigendosi sì verso la strada più impervia - All alone, che fa da titolo all’ultima puntata della seconda stagione – ma anche verso quella che le avrebbe permesso di realizzarsi nella sua vocazione artistica. E soprattutto di autodeterminarsi. Continuare ad essere sé stessa, fantastica, senza nessun uomo o delle regole o dei compiti prestabiliti cui adempiere.

Dopo essersi mossa in un territorio per lo più “bianco” e borghese arriva per Midge l’opportunità di confrontarsi con un’altra realtà, e il tour con Shy Baldwin le farà da apripista in questo percorso. Nella terza stagione Midge è sola, sulla strada, con dei figli all’altro capo dello stato da mantenere e per cui dover esserci. Il movimento è alla base di questa parte del racconto poiché non solo lei ma anche Joel e i genitori lasceranno la propria confort zone per provare a orientarsi altrove, come se Palladino esigesse dai suoi personaggi e specialmente da Midge (e forse anche da lei stessa) uno sguardo sulle cose ancora più acuto e che metta quindi in discussione, al vaglio, ciò che gli sta davanti. Ci sono l’ombra del maccartismo, della segregazione razziale e della disillusione collettiva dopo un periodo di grandi promesse – la trattazione del personaggio di Abe Weissmann è in questo senso magistrale, poiché la regista ne rileva e descrive contemporaneamente due dimensioni: quella intima e relativa al progressivo venir meno della sua influenza sui figli e una più lampante, che riguarda la sua posizione da intellettuale in un mondo prossimo a continue mutazioni. Lo stesso problema che potrebbe riguardare Midge se catapultata cinquant’anni dopo. Oggi. Chissà in che modo farebbe ironia su questioni che ancora restano insolute, nonostante sia passato mezzo secolo.

In conclusione possiamo dire che a costituire il moto propulsore della terza stagione di La fantastica signora Maisel sia il bisogno di cambiamento, di trasformazione ancora più radicale, in un modo che però, come vedremo quando dovrà esibirsi allo storico Apollo Theatre di Harlem, non farà brillare la nostra protagonista. Trovandosi di fronte a un pubblico composto interamente da afroamericani, Midge comprenderà lo scarto, la distanza tra i rispettivi orizzonti culturali e sociali e capirà quindi di non poter offrire a queste persone nulla di già detto, di riciclato su un altro pubblico, il suo solito, rendendosi così conto, dopo il colpo di scena finale – come giustamente indica Ilaria Feole nel suo articolo su DINAMOpress – della responsabilità che implica l’essere padroni della parola e del linguaggio sull'altro.

Autore: Elvira Del Guercio
Pubblicato il 14/02/2020
USA 2017
Durata: 3 stagioni per 26 episodi

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