Mondocane

di Alessandro Celli

Un film fatto di stasi ed esplosioni action, di dialoghi e musica elettronica, di carezze e violenza improvvisa, un film che si nutre di cinema e tenta un’operazione di genere inedita rubando il meglio da tanti grandi autori europei che guardano agli U.S.A, alla grande macchina dei giocattoli del cinema hollywoodiano

Mondocane - recensione Point Blank

Il Grande male e Il Grande mare. Basta cambiare una consonante per parlare di Mondocane, l’esordio alla regia di un lungometraggio per Alessandro Celli. Il Grande male era la forma di epilessia che affliggeva Ian Curtis, il leader dei Joy Division che dalla sua malattia fu portato al suicidio, la stessa che, con le convulsioni, l’irrigidimento del corpo e la perdita di saliva, affligge Pisciasotto, un ragazzino della periferia tarantina (inscritta in una Puglia distopica) che, insieme al migliore amico Mondocane, vede nella possibile unione a Le Formiche, una gang composta principalmente da ragazzini e guidata da Testacalda (Alessandro Borghi), la possibilità di un futuro migliore. E poi c’è Il Grande mare, il Mediterraneo, che sin dalla prima scena, quando i due amici ritrovano un crocefisso sommerso, sembra promettere una speranza, una vita nuova e che, invece, diventa il motore della caduta del protagonista.

Si è deciso di cominciare da queste due immagini perché questo (bellissimo, è il caso di dirlo da subito) Mondocane, come sforzo produttivo, c’entra con il mare e c’entra con l’epilessia, da un lato perché la location tarantina ci parla di un cinema italiano che vuole esondare dai confini romani (non c’è più niente da fare a Roma, dirà Mondocane), dall’altro perché è un film epilettico, fatto di stasi ed esplosioni action, di dialoghi e musica elettronica, di carezze e violenza improvvisa, è un film che si nutre di cinema, che ci parla di un regista che tenta un’operazione di genere inedita dopo i tanti, seppur preziosi, (semi)fallimenti di Monolith, Mine, 5 il numero perfetto ecc., rubando il meglio da tanti grandi autori europei che non disdegnano di guardare agli U.S.A, alla grande macchina dei giocattoli del cinema hollywoodiano. Primo su tutti Cristopher Nolan, il meglio di Cristopher Nolan, verrebbe da dire, dal momento che chi scrive le sue ultime fatiche non le ha gradite, per usare un eufemismo. E quindi ecco gli autoblindati della polizia corazzati, simili alla batmobile della trilogia de Il cavaliere oscuro, i radar, quelle mezze carrellate fantasma dal lato dei veicoli che sono un marchio di fabbrica del regista londinese e che Alessandro Celli non si fa remore a citare spudoratamente. Poi c’è l’incedere costante con cui la colonna sonora scandisce gli inseguimenti e le scene d’azione, fino quasi a distrarre dal quadro e a rendere inintelligibili i dialoghi, le lunghe, epiche sequenze di lotta fatte di volti mascherati e di esplosioni che finiscono per convergere nello stesso punto, in una resa dei conti tra due personaggi antagonisti, due nemesi, Mondocane e Pisciasotto in questo caso. Ma non solo Nolan. C’è tanto altro (grande) cinema in quest’opera prima. C’è un Alessandro Borghi acconciato con dei baffi alla Bronson di Nicolas Winding Refn, un regista a cui si ammicca in almeno un paio di scene. C’è il Jean-Pierre Jeunet di The City of Lost Children, nella fotografia e nel soggetto. Poi c’è tutto il resto: ci sono delle ottime performance attoriali, perché se è vero che Borghi appare leggermente dimesso e sottotono nella prima metà del film, forse preoccupato di non donare un eccessivo tono eccentrico a un personaggio che molto si presterebbe alla caricatura anticapitalista, è altrettanto vero che nella seconda parte riesce a dare un’aura di crudo realismo al suo personaggio pur mantenendo il suo fare macchiettistico da villain. Poi ci sono i ragazzini, Dennis Protopapa (Mondocane) e Giuliano Soprano (Pisciasotto), credibili anche nella violenza e nella malattia. C’è la grande macchina del cinema che diverte come poche volte il cinema italiano di genere ha saputo divertire negli ultimi anni.

Violento, massimalista, esagerato e nonostante questo capace di mantenere uno sguardo non banale sull’evolvere dell’amicizia tra Mondocane e Pisciasotto, una dipendenza reciproca che si dispiega affrontando tutte le dinamiche delle relazioni maschili (la pressione del gruppo, il rapporto con l’altro sesso, il machismo obbligato…) e che si risolve senza alcun moralismo o patetismo (qui ci sarebbe spazio per il peggio di Nolan), pur concludendo perfettamente la linea narrativa. Cinema per le nuove generazioni, cinema per i nuovi spettatori, cinema per la Generazione Z. Importa poco. È grande cinema, e il grande cinema è cinema per tutti, mondocane!

Autore: Pietro Lafiandra
Pubblicato il 08/09/2021

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