Dovlatov - I libri invisibili

di Aleksey German Jr.

Una biografia che, come solo le vere biografie, riflette sul nostro tempo.

DOVLATOV

Nel mettere in scena la storia di Sergei Dovlatov, uno degli scrittori russi più importanti del ventesimo secolo ostracizzato dalla censura sovietica, Aleksej German Jr. allestisce tutta una serie di riflessi. Dovlatov è anzitutto un film sulla scrittura: il vero scrittore è fisiologicamente inattuale, non converge mai con la propria epoca. Dubita di se stesso e del mondo che lo circonda, abita la crisi come una frattura fra Storia e individuo, regime e persona, censura e libertà di espressione.

Invisibile come i suoi libri, quello di Dovlatov è un atto di resistenza nei confronti della norma e della dottrina. Intorno a lui un universo spento e desaturato, virato in seppia, quasi un film in bianco e nero in cui il colore risulta costantemente umiliato.

Il film segue sei giorni della vita di Sergei datati 1971: il tempo non scorre mai, come rinchiuso in una bolla ermetica. Il mondo esterno penetra clandestinamente tramite operazioni di contrabbando mentre la madre Russia, con i suoi grandi scrittori, osserva e commenta, attrice di uno spettacolo che non conosce più. Le scenografie di questo spettacolo sono solo luoghi oscuri ed asfittici: la redazione del giornale, i locali freddi e fumosi, le strade che non presentano mai un’apertura ma sembrano ennesimi, claustrofobici interni.

Dovlatov cammina inquieto: si agita, si ferma poi ricomincia a vagare, ma sembra sempre bloccato in una dimensione che lo respinge. Troppo negativo, troppo critico, troppo sfuggente per il pensiero positivo sovietico (lo scrittore si trasferirà poi negli Stati Uniti e non conoscerà il successo che arriverà solamente postumo).

Il film di German, straordinariamente attuale, si apre a tutti gli emarginati, a tutti gli artisti inesistenti, a tutti i pensatori scomodi, alle gallerie di outsider che salvano il mondo. Con i riflessi direttamente puntati sulla Russia contemporanea, su un presente dove la Storia rischia di ripetersi. Eppure, senza troppi indugi o compromessi, l’artista riesce a sopravvivere. Umiliato, deriso, allontanato: abita i campi totali, le focali corte in cui Dovlatov può confondersi con il popolo, essere uno di loro. Senza classismo, senza separazioni fra intellettuali e gente comune, ma uomo in mezzo ad altri uomini, immerso nelle tragedie quotidiane del suo paese.

Si ha quasi la sensazione che la macchina da presa utilizzi Dovlatov come veicolo per esplorare gli altri, slittando continuamente l'attenzione dal suo soggetto per avvicinarsi al resto del mondo. German è attratto dalla vita che scorre ai margini, dalle voragini e dalle derive della narrazione. Con il riflesso più evidente di suo padre Aleksej, immenso regista ostracizzato dal regime con solo sei film prodotti nel corso di un'intera carriera, di cui l’ultimo Hard to be a God, sembra la versione visionaria e deforme di questo Dovlatov.

“Prima o poi le cose miglioreranno” dice la moglie allo scrittore, gettando un’ultima speranza sul futuro dell'uomo, della Russia...del nostro tempo.

Autore: Samuele Sestieri
Pubblicato il 02/12/2018
Russia, Polonia, Serbia 2017
Durata: 126 minuti

Ultimi della categoria