Hill torna dietro la macchina da presa con un western atipico e contraddittorio che, nonostante tutti i limiti, conferma l'amore del regista per il cinema di genere e il suo potenziale di provocazione.
Zeller torna a raccontare i legami famigliari e le malattie della mente, un caos emotivo che il regista cerca di catturare, per contrasto, con una ferrea compostezza formale.
Alice Diop riprogramma il codice del genere giudiziario trasformandolo da una macchina di verità a un circuito di immagini improduttive che istanziano il cinema come crisi del linguaggio.
Panahi è stato arrestato, ma i suoi film continuano a resistere contro il regime. "Gli orsi non esistono" rafforza l'equazione alla base del suo metacinema e si apre con lucidità commovente al confronto con un reale che non si può mai davvero ridurre a immagine.
Attorno ai Sackler e le loro responsabilità nell'epidemia di oppioidi esiste ormai un ipertesto multimediale mobile e collettivo; di questa macro-narrazione il Leone d'Oro a Venezia 79 è la certificazione ultima, oltre che un'opera potente sul rapporto politico tra privato e pubblico.
Un noir che diventa attacco politico frontale, un teorema del doppio e del male come contagio in cui l’immagine è ancora innesco per un’epifania, custode del Sacro. Tra i capolavori di Lav Diaz.
Crialese torna a fare cinema dopo 11 anni da "Terraferma" per raccontare la sua storia autobiografica. Il risultato è un melodramma che cerca l'urgenza dei sentimenti ma è troppo vicino ai personaggi per inquadrarne la complessità emotiva.
Iñárritu non prevede la presenza del pubblico e forse neanche la desidera; è un cinema che non costruisce spazi da abitare ma palchi su cui esibirsi, a misura per un unico inquilino, demiurgo e architetto di sé stesso e del suo sguardo. Irricevibile.