Non sarai sola

di Goran Stolevski

Il nuovo folk horror macedone che ha conquistato il Sundance, tra rivendicazioni femministe e atmosfere oniriche.

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Fin dalla sua nascita il genere horror si è nutrito delle leggende e dei miti, rielaborando e riattualizzando le storie del folklore delle più disparate tradizioni, ma è dagli anni ’60 che assistiamo alla genesi di un vero e proprio sottogenere decodificato, quello del folk horror, la cui storiografia è ben descritta nel documentario del 2021 Woodlands Dark and Days Bewitched: A History of Folk Horror di Kier-La Janisse. Molti registi hanno tratto linfa vitale e creativa rivolgendosi a un passato mitico, ricco di misticismo e folklore, da usare come specchio e metafora per la contemporaneità. Il genere è caratterizzato da elementi ricorrenti: prima di tutto un’ambientazione rurale all’interno della quale si scatena il potere magico e oscuro della natura, osteggiato da un fanatismo religioso che spinge le piccole comunità a rinchiudersi in loro stesse e a continuare a perpetrare riti ancestrali che trasfigurano la superstizione in follia.
In Occidente questo genere è stato sfruttato inizialmente soprattutto in Europa, basti pensare a due iconici esempi: nel Regno Unito The Wicker Man di Robin Hardy del 1973 e in Repubblica Ceca Valerie and Her Week of Wonders di Jaromil Jireš del 1970. Dal Vecchio Continente il genere in voga giunge presto negli Stati Uniti, dove si sviluppa attingendo largamente ai capitoli più oscuri della storia locale, quella caccia alle streghe che ha caratterizzato il nord-est del paese a partire dal 1647, raggiungendo il suo apice con il processo di Salem, Massachusetts.
L’archetipo della strega come creatura notturna dedita a pratiche di magia nera nasce e si diffonde nel solco di comunità contadine arretrate culturalmente, la cui ossessione religiosa le porta a identificare come streghe tutte le donne non conformi ai dettami patriarcali che le relegavano a un ruolo subalterno e domestico. Questa attinenza con la condizione femminile odierna rende dunque la strega un personaggio ideale attorno al quale costruire storie attuali dal substrato politico e sociale, capaci di rendersi interpreti di dibattiti pubblici tanto cogenti in questo periodo storico.

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In questo alveo si inserisce Non sarai sola (You Won’t Be Alone), primo lungometraggio del regista australiano di origine macedone Goran Stolevski, presentato con successo al Sundance Film Festival nei gennaio del 2022.
Protagonista è Nevena (Sara Klimoska), le cui vicende ci vengono mostrate fin dalla nascita, quando viene marchiata dalla strega Maria che la vuole per sé, spingendo la madre della bambina a nasconderla per quindici anni in una grotta, riducendola a uno stato ferale che ne impedisce persino lo sviluppo delle facoltà linguistiche, tratto peculiare della dimensione umana. La strega riesce a ritrovare Nevena e da qui si dipana la narrazione di un apprendistato esoterico che avvicina la protagonista a pratiche sovrannaturali quali la trasformazione  in animali o in altre persone, citando così uno dei poteri maggiormente attribuiti alla figura prototipica della strega. Cornice imprescindibile è quella agreste di un villaggio rurale della campagna macedone del XIX secolo, nel quale la donna è isolata nella dimensione casalinga e familiare, vittima di un cattolicesimo costringente e obbligante, reso ancora più evidente dalla natura libera e anarchica delle streghe, capaci di vivere la propria condizione femminile e la propria sessualità con sfrontatezza e orgoglio. You won’t be alone è infatti costruito interamente intorno alla forza delle molteplici donne che costellano il racconto filmico, in una sfida continua ai ruoli di genere imposti, completamente ribaltati da Nevena, che si fa via via sempre più consapevole e orgogliosa della propria energia sovversiva. In questo senso il film di Stolevski sembra un coming of age, un classico racconto di formazione che segue la progressiva presa di coscienza da parte della giovanissima Nevena della propria individualità e del proprio ruolo nel mondo, attraverso la sperimentazione magica e l’azione sul campo.

Ai più non sarà sfuggita una certa assonanza con un’altra pellicola che mette al suo centro una giovane strega in cerca di affrancamento, il ben più noto The Witch del 2015, diretto da Robert Eggers. Il paragone non è certamente peregrino, sembra anzi fin troppo evidente che Stolevski abbia preso grande ispirazione dall’opera prima del regista statunitense, cercando di ricreare quelle atmosfere sospese tra sogno e realtà che sono una delle cifre stilistiche del cinema di Eggers. Questo macroscopico precedente rende perciò meno originale e più derivativo il discorso di Stolesvki, generando un confronto dal quale non può che uscirne sconfitto: non solo da un punto di vista tematico, ma soprattutto a causa di un allestimento narrativo che lo rende a tratti ripetitivo, mostrando così i limiti di un film che ha voluto imbastire una trattazione troppo ambiziosa.

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Probabilmente alla base di questa dissonanza c’è una ricostruzione poggiata su elementi folkloristici troppo generici, perché  Stolevski stesso ha ammesso di non aver fatto riferimento a precise leggende locali, ma di essersi piuttosto affidato a una messa in scena ispirata alla figura universalmente condivisa della strega, cosa che se da un lato la rende comprensibile ad ogni latitudine, dall’altro la rende astratta e, di conseguenza, vaga e poco circostanziata, togliendo così uno dei parametri basilari del folk horror, quel hic et nunc che dà tutta la profondità e l’irripetibilità di una storia.
You Won’t Be Alone risente dunque di difetti ontologici di scrittura, ma è innegabile che il regista sia comunque riuscito a creare una pellicola che riesce a dialogare con la contemporaneità e che non è eccessivamente influenzata dai pochi mezzi economici a disposizione, con una buona impalcatura tecnica che lo rende appetibile anche a pubblici internazionali; questo grazie anche alla presenza di Noomi Rapace, qui in veste di produttrice e di attrice in un ruolo secondario, che ha aiutato nella risonanza mediatica e nel più ampio respiro globale di cui ha beneficiato.
A margine, viene piuttosto naturale, a partire da questo film macedone, fare una riflessione sulla situazione italiana del cinema di genere, che potrebbe fruttuosamente attingere a una tradizione folkloristica ricca di miti orrorifici per rivitalizzare la propria presenza nelle sale nazionali.

Autore: Gaia Fontanella
Pubblicato il 18/07/2022
Australia, 2022
Durata: 108 minuti

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