American Sniper - Canto funebre per un reduce (del western)

Dimensione epica e dimensione tragica si configurano in American Sniper in modi contrapposti, respingendosi e alternandosi nei due spazi dominanti del film.

Il mondo è tutto ciò che accade

Ludwig Wittgenstein

È dunque assolutamente necessario morire, perché, finché

siamo vivi, manchiamo di senso […]

La morte compie un fulmineo montaggio sulla nostra vita: ossia sceglie i suoi momenti veramente significativi […] Solo grazie alla morte, la nostra vita ci

serve ad esprimerci. Il montaggio opera dunque sul materiale del film […]

quello che la morte opera sulla vita

Pier Paolo Pasolini

Nelle inquadrature finali, Chris Kyle non è più un american sniper. Egli è tornato a essere quel cowboy apparso per la prima volta nel lungo flashback iniziale. Il cowboy si avvia così verso il fuoricampo, in uno spazio invisibile. Egli sparisce in una dissolvenza in nero, tra uno scambio perturbante di sguardi ? quelli della moglie Taya e del suo carnefice, un reduce di guerra ? e una soglia, la porta che lentamente si chiude. Questo buco nero, dove all’improvviso il giorno diventa notte, viene prefigurato nella straordinaria sequenza della tempesta di sabbia, un vortice oscuro che sta per inghiottire la figura di Chris. Poco prima, con un tiro da una distanza quasi impossibile il cecchino americano aveva colpito mortalmente il suo antagonista, Mustafa.

Lo sguardo altro del cecchino siriano potrebbe essere il controcampo ideale del protagonista, ma il suo punto di vista non può essere mostrato perché incarna un’alterità estrema. Mustafa si sposta sui tetti di Falluja e Ramadi con le movenze di un felino, rapido e silenzioso. La sua figura si staglia e si mimetizza sulla cima degli edifici come quella di un guerriero implacabile e invincibile. Quel movimento ascendente in plongée sul corpo privo di vita di Mustafa sembra cogliere il suo ultimo respiro prima che si scateni la tempesta di sabbia. Nel film di Clint Eastwood, lo sniper siriano muore come un eroe epico e le forze della natura si ribellano scatenandosi come delle erinni sul campo di battaglia. Chris riesce miracolosamente a fuggire. Da questo momento in poi, tornato in America dalla famiglia, lontano dalla wilderness irachena, egli diventa un’ombra, un sopravvissuto.

Lo stacco di montaggio che dà il via al lungo flashback produce un vertiginoso spaesamento. L’immagine rimane in bilico, sospesa tra la vita e la morte: dal bambino iracheno (con la granata pronta a esplodere) nel centro del mirino di Kyle, passiamo alla battuta di caccia col padre, con Chris che uccide un cervo. Il flashback non è solo un ricordo, è piuttosto un’immagine che attualizza un passato mitico e idealizzato nel momento presente del film. L’Antico Testamento e il fucile stringono come in una morsa il percorso individuale di Chris, il suo processo di soggettivazione pare schiacciato dall’inesorabile responsabilità di difendere la comunità. È la legge del Padre, la religione ? il sermone del sacerdote sulla figura di San Paolo e le vie misteriose della Grazia divina ? a tracciare con un solco profondo la via del figlio: un cane pastore destinato a proteggere il gregge dai lupi famelici. E poi c’è la Storia che incalza con la tragedia dell’11 settembre e la guerra in Iraq.

In una scena chiave del flashback, la voce fuoricampo del padre, “ormai tu sai quello che sei”, accompagna il figlio vestito da cowboy mentre attraversa la soglia di casa (in Texas); un’ inquadratura fordiana che rinvia alla figura di Ethan Edwards in Sentieri selvaggi. Forse è questo il vero prologo di American Sniper. Se ripensiamo all’epilogo, Kyle non indossa più la sua uniforme da Navy SEAL, ma è tornato a indossare gli stivali e il cinturone vinto nei rodei, come in un western crepuscolare di Ray o Peckinpah. Bradley Cooper versione cowboy attraverserà di nuovo quella soglia andando incontro alla morte. Il suo destino quindi riecheggia in qualche modo quello di Ethan, un altro reduce (della guerra di secessione) che riesce a sopravvivere soltanto nell’ossessione, nell’odio per Scar, il pellerossa, il diverso, l’altro. Ethan e Chris sono due figure tragiche nelle quali diventa centrale la contrapposizione interno/esterno, sicurezza/minaccia, famiglia/guerra civilitation/wilderness. Diversamente da Chris, però, per l’eroe fordiano non c’è una vera dimora, non c’è una famiglia che attende il suo ritorno. “Ethan ormai è condannato, destinato a vagare tra i venti” (Martin Scorsese). Il conflitto vero per Chris è con la sua stessa famiglia e la comunità che l’eroe si illude di difendere nella guerra preventiva di Bush. Taya, a differenza della moglie di Mustafa che vive accanto al marito, non può comprende la totale dedizione di Chris ai Navy SEAL. Una volta tornato a casa, non può più esserci accordo tra eroe ed ambiente perché la sua comunità, la società americana, si è ormai sfaldata.

Il flashback di American Sniper da una parte ci mostra il mito della nazione americana e gli archetipi culturali del West. Nel petto del soldato pulsa un cuore generoso (come quello di Gunny) che incarna i valori tradizionali dei pionieri. Nondimeno in quella dissolvenza in nero, in quel fuoricampo abissale ci sono i luoghi oscuri, l’orrore, il cuore di tenebra di un’America che il cinema di Clint Eastwood ci ha costantemente mostrato (da Un mondo perfetto a Gli spietati, fino a Gran Torino). L’espressione sul volto del reduce affetto da disturbi post-traumatici, che di lì a poco ucciderà Kyle, non sembra molto diversa da quella del fratello (Jeff) nella scena in cui si incontrano per caso in aeroporto. Quest’America rimane sempre nel fuoricampo, ma questo fuoricampo è lo stesso buco nero che inghiottirà Chris nel finale.

Quindi dimensione epica e dimensione tragica si configurano in American Sniper in modi contrapposti, respingendosi e alternandosi nei due spazi dominanti del film. Da un lato, il campo di battaglia, la wilderness irachena, nella quale la Leggenda, l’eroe che sembra invincibile perché agisce facendo sue le potenze dell’ambiente. Dall’altro, questa dimensione epico/etica si rivela una mera apparenza, un’illusione, tutte le volte che Chris ritorna negli Stati Uniti, nella sua patria, perché non sembra esistere una comunità che lo ri-conosca. Egli non è assolutamente disposto ad accettare i dubbi di Taya, di Jeff e di Marc, il suo compagno d’armi, sulla guerra in Iraq. Il ritorno in famiglia amplifica la crisi coniugale e l’incomunicabilità con Taya. La televisione che ci aveva mostrato le immagini dell’attentato al World Trade Center adesso è uno schermo vuoto sul quale l’eroe proietta la propria ombra e i suoni lancinanti della guerra.

L’unica possibilità di redenzione, la sola strada percorribile per Chris, è quella di un ritorno a un passato mitico, forse solo idealizzato. La vita da cowboy, le gare nei rodei come ne L’ultimo buscadero, sempre in viaggio con l’amato fratello attraverso il West. Ma già i western crepuscolari dell’ultimo Ford, di Peckinpah, di Ray, di Siegel, e dello stesso Eastwood, ci hanno mostrato come la dimensione dell’epos americano, configurata innanzitutto dalle immagini-azione del western classico, sia sempre stata una potentissima e straordinaria illusione, una Leggenda (come quella di Chris) creata dalla macchina mitopoietica per eccellenza della modernità, ovvero il Cinema.

Autore: Vincenzo Tauriello
Pubblicato il 30/01/2015

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