Venezia 2013 / The Friedkin Connection

Salve a tutti, sono George Clooney!”: è un William Friedkin come sempre in gran forma quello che irrompe alla conferenza stampa mattutina in suo onore, nella giornata in cui riceverà il Leone d’Oro alla Carriera della 70ma Mostra del Cinema di Venezia. Spiritoso ai limiti della ribalderia, simpaticissimo e incontenibile, il grande maestro della New Hollywood è un fiume in piena di aneddoti regalati con generosità e riflessioni portate avanti con spigliatezza e acume. La lucidità, manco a dirlo, è quella di una mente ispirata e ancor oggi vitale e curiosa come poche altre. Vien da pensare che non potrebbe essere altrimenti, per uno dei massimi esponenti di una stagione di cinema americano gloriosa e indimenticata, fiorita in degli anni in cui la settima arte, a differenza di oggi, si poneva ben pochi limiti. “Una persona mi ha chiesto: ma come si sente ad aver vinto l’Oscar contro Kubrick? E io ho risposto che Il braccio violento della legge era più divertente di Arancia Meccanica…”. Una perfetta sintesi, questa battuta, del brio coinvolgente che anima il Friedkin pensiero. “Il mio film che è presente qui quest’anno, Il salario della paura, ebbe cinquanta persone tra gli addetti ai lavori, me compreso, che si ammalarono dopo le riprese, o per delle cancrene, o per la malaria. Si è fortunati a voler fare dei film. Ma il mio non è un remake di Clouzot. Non è che ogni volta che va in scena una versione dell’Amleto si tratta di un remake di una versione precedente. Io farò un adattamento del Rigoletto con Placido Domingo molto presto, ma non ho mai visto trasposto il Rigoletto in vita mia”. La curiosità più attanagliante riguarda però i nuovi progetti di Friedkin, specie dopo l’incredibile e spietato Killer Joe visto proprio nel concorso di Venezia 2011. Il sodalizio con lo sceneggiatore e attore Tracy Letts, a quanto pare, è destinato a durare. “Sì, ne vorrei fare un altro, ne stiamo parlando. Sarebbe un western dei nostri giorni, tra l’altro Tracy per adesso sta scrivendo una nuova versione di The Grapes of Wrath di Steinbeck. Mi piacerebbe portarlo qui a Venezia, sempre se ci inviteranno. Perché sapete, tutto dipende dall’invito! ”.

Interpellato a proposito della condizione attuale degli studios di Hollywood, Friedkin lascia andare a briglia sciolta il lato più sprezzante e cinico di sé, il meno disposto a ironizzare, se non in un modo che definire caustico e tagliente è un mero eufemismo. “L’implosione degli studios? Non vedo il problema? Semmai, il problema ce l’hanno gli studios. Tutto implode, anche la Roma Antica è implosa. Spendono tanto e gli interessa solo fare soldi, è come un grosso Casinò – non la casa di prostituzione però! – dove si gioca, si scommette. Un film come Killer Joe non avrei mai potuto farlo con gli studios beneficiando della stessa libertà creativa. Vedete, non c’è nessun superuomo con la corazza di cuoio che vola per il cielo, nessun Batman, nessun Superman, non ci sono vampiri, non c’è quel cinema che non mi interessa fare e neanche guardare, se è per questo. Anche Bug, ve lo immaginate? Con gli studios non sarebbe potuto esistere”. Ma che film predilige dunque, il Friedkin spettatore? “Guardo soprattutto vecchi film, rivedo film che ho già visto, in blu-ray: Quarto Potere, Eva contro Eva, Il tesoro della Sierra Madre, 8 ½, Ballando sotto la pioggia, Diabolique, tutto Antonioni: La notte, L’eclisse, di recente anche Blow-Up, che rivedo spessissimo. Non guardo mai film recenti. Anche se ho visto un film serboA Serbian film, davvero molto bello. Non vi piacciono i film serbi?! Chi non ama i film serbi può uscire da questa conferenza stampa, e anche chi guarda i film sugli I-Phone! Ah, poi ho visto anche Gomorra e Il Divo, non so se li condivido dal punto di vista politico (a questo proposito bisognerebbe aprire un capitolo intero sull’essenza repubblicana di Friedkin, ma probabilmente non è questa la sede appropriata, ndr), ma sono due film veramente incredibili. Per il resto, non conosco moltissimo la situazione attuale del cinema italiano, ma questi due titoli mi sono piaciuti enormemente”.

Sul suo rapporto con gli attori, il vulcanico Bill regala considerazioni sul metodo di lavoro che l’ha accompagnato per un’intera carriera. “Non so se i miei metodi si siano ammorbiditi perché in Killer Joe alcuni personaggi hanno la faccia felice! Io ho sempre lavorato scavando in profondità. Linda Blair mi confidò che il momento più tragico della sua vita era stato la morte del nonno e allora io ci tornavo di continuo, costringendola a riviverlo. D’altronde, l’attore deve avere questa memoria sensoriale, non basta che impari le battute a memoria e via. Oltre al copione, c’è lui che deve essere felice e triste e deve farlo per davvero, sapendo che prima ancora del personaggio sullo schermo c’è la persona che deve emozionarsi, provare dolore, essere buono o cattivo, tutto quanto realmente. Uso le loro debolezze solo per provocarli. Hackman? Oh, Gene si gode la pensione, vive in Messico, a Sud, a Santa Fe, dipinge, scrive racconti, non recita più. Il suo personaggio ne Il braccio violento della legge era molto difficile, per quello ha avuto dei problemi”.

Ma è quando c’è da riflettere sul ruolo sempiterno e incrollabile del cinema come forma d’arte e sul mondo contemporaneo che Friedkin dona davvero il meglio di sé. “Brecht ha detto che l’arte non è uno specchio, ma un martello con cui trasformare la società, così da fare accettare alle persone chi sono loro stesse e chi sono loro per gli altri, trovando il modo per stare insieme. Il mondo, lo dico francamente, sta per esplodere. Non c’è Superman, o Batman, solo esseri umani normali, come me, come voi”. E a questo punto William Friedkin si dispiega in tutta la sua non indifferente presenza fisica e impugna addirittura il tradizionale cartellino col nome tipico della conferenze, brandendolo nell’aria come un’arma: “Quando il mio paese parla di attacchi ad altre nazioni, io mi vergogno. L’America non può ergersi a poliziotto del mondo, nessuno può farlo”.

Autore: Davide Eustach…
Pubblicato il 06/12/2014

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