The Rolling Stones Olè Olè Olè: a Trip Across Latin America

L'appassionante countdown al primo concerto a Cuba dei Rolling Stones.

The Rolling Stones Olè Olè Olè: a Trip Across Latin America poteva essere l’ennesimo documentario su uno degli innumerevoli tour dei Rolling Stones, ma non lo è. Se ne sarebbe potuto fare a meno, invece no. Avevamo già visto Shine a Light, diretto magistralmente da Martin Scorsese, e goduto dell’attitudine ‘cool e rock’ dei quattro ultracinquantenni che sul palco del Beacon Theater a NYC erano riusciti a stupire il pubblico esigente della Grande Mela. Poteva anche bastare? Decisamente no. Ma andiamo con ordine.

E’ il 2015 e Paul Dugdale, dopo aver documentato i live di Adele, Ed Sheraan, i Coldplay e appunto, i Rolling Stones nel 2008 da Hyde Park, decide di seguire nuovamente la band inglese nel tour che li porterà in America Latina: Argentina, Uruguay, Cile, Brasile, Perù, Colombia, Messico e poi Cuba, se mai si farà.

Quando il tour ha inizio nella terra del tango il viaggio verso la Isla di Fidel appare incerto: permessi, problemi burocratici, la visita di Obama e addirittura il Papa si interpongono all’esibizione a L’Havana. Fin dall’inizio Dugdale ha l’intuizione di marcare la narrazione con questa tensione di fondo: una corsa contro il tempo e una lotta contro la burocrazia per realizzare il sogno del concerto a Cuba. Intanto mentre si preparano le carte, si fanno telefonate, si scrivono lettere e si scomodano autorità, gli occhi e le orecchie non possono far altro che godere dello spettacolo: ovazioni da stadio, quattro animali da palcoscenico che non conoscono cosa sia il tempo, la vecchiaia, le rughe, gli acciacchi. Si muovono come dei ventenni e come dei ventenni sono i primi a godere dello show.

Mick Jagger sul palco è una fiamma che brucia l’aria attorno a sé. Incarna il ritmo, è il rock che si fa gesto e movimento. Il pubblico latino è da sempre considerato il più caldo del mondo: Olé, Olé Olé ripetono dal Brasile al Messico, come un’unica onda gigante che oltrepassa le Ande fino a Bogotà. Un immenso e caldo cuore pulsante di ritmo e sudore. Perché in Sud America tutto è musica: “Si nasce con la musica e si muore con la musica”, dice un musicista/ballerino peruviano. Il ritmo che Dugdale ha saputo dare a questo lavoro rispecchia l’anima e i colori del continente, quel battere e levare che si respira in ogni strada, dentro qualsiasi taxi, nei ristoranti, immersi nel traffico. Alla radice c’è lo stesso battito e la stessa urgenza che ha spinto i Rolling Stones, dall’altra parte del mondo, ad interpretare e a rendere nota e parole quella stessa necessità. Così il Rock, la vibrazione ancestrale, il battito primitivo, è come un samba o una salsa.

Mick, Keith, Ronnie e Charlie ritrovano terre già visitate e ne scoprono di nuove, sorpresi di trovare ovunque lo stesso calore. Del resto il Sudamerica è stato il continente delle dittature e in molti paesi era proibito sentire musica straniera. I Rolling Stones rappresentano quei diritti che per molti anni sono stati negati. Non sono solo ’il rock’ ma una forma di libertà, una filosofia, come quella che manifestano i Rolinga, subcultura argentina di fanatici dei RS che a partire dagli anni ’80 hanno basato la propria vita sullo stile e la musica di Mick Jagger e Keith Richards. Oltre al tango, alla samba e al mambo anche qui il rock si è fatto strada interpretando un messaggio di protesta e ribellione, incanalandosi fra i vicoli di Buenos Aires dove si versano lacrime al passaggio di Mick, o trasformandosi in sogno proibito pena la detenzione.

Mentre questi quattro avanzano alla volta de la Isla de Fidel, la musica oltre al sudore, alle urla e ai salti regala emozioni: un racconto dimenticato, un duetto nel camerino, un ricordo lontano. A differenza di Shine a Light il documentario di Dugdale è carico di pathos, di momenti che schivando scivolate sdolcinate, riescono ad andare oltre il palco e oltre la musica, per comprendere cosa ha tenuto insieme per 54 anni una band, e cosa gli ha resi fin dal primo giorno dei giganti. Nonostante l’età anagrafica, sono eternamente giovani e infinitamente rock. La voglia di conoscere e di mescolarsi, di mettersi in gioco e di reinventarsi. Nuove culture e nuove sfide, come arrivare laddove nessuno era mai stato prima. Con lo spirito di Cristoforo Colombo, partire alla volta di terre inesplorate che non hanno mai visto un concerto rock. Espugnare Cuba significa realizzare qualcosa che i cubani non avevano mai neanche avuto l’ardore di immaginare. Lentamente il countdown per il concerto sta per scadere, e superate le complicazioni burocratiche, ecco che il carrozzone approda nella terra delle Indie, Cuba, la Estrella Solitaria.

L’isola ha riallacciato i rapporti con il resto del mondo, e questa nuova fase viene sancita con la visita del presidente Obama e con il concerto della più grand band rock di sempre. Non è solo un concerto, è un evento storico al quale tutti i cubani sono tenuti a partecipare. Quando esplode (I can’t get no) Satisfation i 500 mila spettatori cubani impazziscono. Per raccontare questo show Paul Dugdale ha realizzato anche un altro documentario: Havana Moon. Ma, intanto sotto la luna brillante di Cuba le immagini del Live emanano un’energia contagiosa ed emozionante: per quanto tempo questo popolo ha sperato di poter finalmente respirare aria di libertà? La revolucion è anche questo.

Autore: Shaila Risolo
Pubblicato il 25/10/2016

Articoli correlati

Ultimi della categoria