The Lighthouse

di Robert Eggers

Il guardiano incatenato: il mito di Prometeo ai confini dell’abisso, luce tra le tenebre della ragione

Lighthouse di Robert Eggers

"Should pale death with treble dread, Make the ocean caves our bed, God who hear'st the surges roll, Deign to save our suppliant soul."

Lì dove allo sguardo è proibito di vedere c’è il cinema di Robert Eggers. L’opera seconda del regista è il naturale prolungamento di un percorso cinematografico iniziato con il precedente The Witch. Location e storie di folklore adiacenti sia geograficamente, dai boschi del New England ai marosi della Nuova Scozia, il passo è breve; sia tematicamente, storie di un territorio in espansione che nascono dai margini della fede, dalle streghe di terra alle streghe di mare: le sirene. Storie oscure quelle di Eggers che con The Lighthouse si affidano alla certezza della mitologia. Se nel primo film la storia di folklore manteneva dei richiami religiosi e popolari, culturalmente bassi, qui la mitologia classica legata alla figura di Promoteo diventa la base sulla quale si tiene tutta l’architettura narrativa. Il lento ed inersorabile declivio verso la follia, dal sonno della ragione alla brama di visione nella luce, e il lavoro di Eggers d’impedimento, e creazione della suspense nascente dalla negazione della vista, ammalia le atmosfere di aspettative inquietanti. Il guardiano del faro, ultima luce nelle tenebre, fuoco della ragione sul confine della follia, come Prometeo incatenato e vinto è pasto di fegato per i gabbiani. Un finale già scritto nelle spirali del fato e nel marmo del canone classico.

Padrone dell’accumulo visivo a sostegno del tipico finale ascensionale, Eggers, dimostra una capacità di pulizia geometrica dell’inquadratura e controllo della messa in scena di maniacale virtù. Due figure, statuarie e tragiche, due guardiani, il vecchio e il nuovo, la divinità e l'iniziato, Willem Dafoe e Robert Pattinson, e il loro lento esaurimento delle capacità razionali scosse dalla follia esterna del mare, dal richiamo del selvaggio, dallo scontro verbale tra due generazioni. Un futuro costretto dalla volontà di conoscenza a un obbligo di visione, pedina inconsapevole del proprio tragico destino. Un passato che conserva la fede irrazionale verso il mondo in sé e che perdendo spalanca l’abisso verso il mondo senza di noi (E.Thacker, Tra le ceneri di questo pianeta), architrave culturale a sostegno e difesa della sottrazione dell’umano dal mondo.

L’oscurità, il selvaggio, il sortilegio, il mare, la malia, definizioni di processi dell’irrazionale che tentano di sovvertire il sistema razionale, illuminante e illuministico, del mondo occidentale; scaglie di buio assimilabili dall’architettura razionale dell’immagine di Eggers. Ed è proprio in questa dialettica tra la sulfurea nube esterna dell’irrazionale e la geometria adamantina dell’immagine di Eggers (ulteriormente corazzata dal formato 4:3) che si mostra il punctum di tutta la capacità ammaliante del suo cinema. Un cinema che stuzzica la visione mostrando sbirciate di una rivelazione (un evento celato, un finale emozionale) recisa dallo sguardo, estromessa dalla visione, un’immagine-tabù illuminante, faro e luce per il salto nell’abisso della sottrazione dell’umano, un cinema che si aggrappa al penultimo frame prima della soglia tra la ragione e l'abisso.

Boredom makes men to villains”… è la noia che rende gli uomini cattivi, come nell’incompiuto racconto di Poe, e di cui The Lighthouse mantiene le stesse premesse nel film, è la calma piatta ad anticipare la tragica fine di ogni uomo di mare. La bonaccia, il demone più crudele del mare, rivive nella narrativa di Conrad, di Golding, di Hodgson come noia, puntello affilato, che bagna di alcol i discorsi dei due guardiani mentre all’esterno il mare urla sputando ondate di sale e rimorsi. Il senso di colpa dell'omicidio rimosso, e coincidente con la fuga sul faro di Ephraim Winslow, crea un legame con il peccato originale nella definizione della figura del giovane rinnegato al cospetto della visione della luce, il perdente al cospetto della voluttà della conoscenza. Un sovvertitore che cede all’abbaglio del proprio destino in una fine tanto tragica quanto mitica. Continuità con The Witch manifestata anche dal fondale interpretativo dato ai 4 quattro elementi, se la terra e l’aria erano le caratteristiche delle streghe del New England, l’acqua e il fuoco fanno da guida alla narrazione degli eventi del faro. Elementi che catalizzanno le forze irrazionali divampando in visioni metafisiche. Visioni di sirene, di bare, di tronchi, sabbatiche visioni da dentro la luce del faro riprese con la lente anamorfica dell’irrazionale, focale di congiunzione tra i punti focali del New England e di Cape Forchu. Ambientazioni, che in una tipologia di cinema tanto fedele al dettaglio scenografico e attento a qualsiasi squilibro di messa in scena, risultano essere di fondamentale rilevanza.

La difficoltà è nel ripetersi e Eggers supera a pieni voti la prova dell’opera seconda. Ulteriore conferma di un cinema di genere horror americano in piena salute, dimostrando, nelle personalità autoriali dei suoi tre portabandiera, Eggers, Aster e Peele una crescita autoriale replicata e pienamente consapevole del mezzo espressivo.

Autore: Giorgio Sedona
Pubblicato il 02/01/2020
Stati Uniti
Regia: Robert Eggers
Durata: 110 minuti

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