New Religion

di Keishi Kondo

Kondo firma una promettente opera prima che parte dalle coordinate del J-horror per lambire il sottogenere "denpa", attraverso il quale mette in scena personaggi irrisolti da un trauma e un collezionista che di quei traumi va a caccia.

New Religion cop img recensione

"Vuoi salire a vedere la mia collezione di farfalle?”
Ricco di elementi riconducibili al J-Horror e al sottogenere trasversale del Denpa, New Religion, opera prima di Keishi Kondo, è la storia crudele di giovani giapponesi senza spina dorsale, incapaci di declinare l’invito di uno squilibrato con l’ossessione per le colonne vertebrali (e in cerca di discepoli a cui manchi un sostegno). Le coordinate sono quelle lasciate da Kiyoshi Kurosawa: cercare la “X” e scavare dentro le persone più deboli, per trovare quei desideri e quei ricordi che non dovrebbero, per nessun motivo al mondo, tornare in superficie.

Miyabi ha perso da poco Aoi, la figlia piccola. Divorziata, convive con il nuovo fidanzato (produttore musicale) conosciuto a una festa e si è reinventata squillo. Un giorno, il suo “protettore” la accompagna a casa di un nuovo cliente, diverso da tutti gli altri. A ogni incontro, l’uomo misterioso (con la passione per le falene) pretende di fotografare diverse parti del corpo della giovane donna. Man mano che l’immagine di Myiabi viene scomposta, quella della sfortunata figlioletta inizia a ricomporsi nella sua mente. E l’assenza si fa pericolosamente presenza.
Analizziamo una delle primissime sequenze. Colori spenti, linee verticali e orizzontali che creano più di un quadro nel quadro (in piena tradizione giapponese, qui si tratta di finestre scorrevoli presenti all’interno di un moderno appartamento giapponese), particolare attenzione alla profondità di campo e personaggi che non mostrano mai il volto nella sua interezza: sembra Kairo del già citato Kurosawa.

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Viene anche inquadrata una tazza con del tè ancora bollente, mancano solo il detective Takabe e Mamiya. Mentre Myiabi legge un libro di Virginia Woolf (Gita al faro), la figlia è sul balcone. Prende uno sgabello, ci sale sopra e, apparentemente senza un motivo, si lancia giù. Cade, o forse vola. Destino - il suicidio dovuto a salti da considerevoli altezze - che accomuna numerosi personaggi, spesso femminili, all’interno delle produzioni Denpa giapponesi (All About Lily Chou Chou di Shunji Iwai). Tra i personaggi più iconici del genere, caratterizzato da individui incapaci di comunicare tra loro ma in grado di captare l’invisibile (le onde elettromagnetiche) e di udire le voci provenienti dall’Universo (e dai “micro regni” contenuti nel cranio) - nel quale sembrerebbe non esserci spazio per il concetto di vuoto, si pensi allo “spettro” di Mizumi attraversato da “particelle di Luna” in August in The Water di Gakuryū Ishii - c’è sicuramente Chisa Yomoda di Serial Experiments Lain, anime del 1998 scritto da Chiaki J. Konaka.
 

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Ispirata al personaggio omonimo di Alice 6 – un Area Code Drama (produzioni a basso budget visibili solo in determinate regioni del Giappone, popolari intorno a metà degli anni ’90) del 1995, diretto dal fratello minore di Konaka e trasmesso da TV Shizuoka per la prefettura di Shizuoka – la tredicenne Chisa Yomoda si suicida nel primo episodio di Lain buttandosi da un palazzo, apparentemente senza motivo, proprio come la figlia di Myabi. Durante la sequenza, entrata nell’immaginario collettivo giapponese, si ha la costante sensazione che la ragazza sia vittima di ipnosi o sotto l’influenza di una qualche voce. Prima di commettere il gesto estremo (con i suoi pensieri riportati allo spettatore attraverso l’utilizzo di cartelli, altro elemento tipico delle produzioni Denpa), Chisa Yomoda allunga un braccio, quasi a voler indicare qualcosa che solo lei vede. Mentre vola, i cavi elettrici le strappano la divisa scolastica. Dirà, in seguito, di aver raggiunto il posto dove si trova Dio.

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Anche in New Religion è presente un personaggio che allunga il braccio, indicando qualcosa di invisibile allo spettatore: si tratta di Akari, collega di Myabi. Come la protagonista, anche lei è alle prese con traumi che sembrano insuperabili (tanto da portarla a compiere atti di autolesionismo): la morte del padre e gli abusi subiti in passato dalla madre, ora gravemente malata e bisognosa di medicine costose. Lo stato di salute mentale precario della donna precipita definitivamente nel momento in cui entra in contatto con il misterioso fotografo, che nel mentre ha spostato il suo interesse verso il corpo di Myabi: probabilmente sotto ipnosi (non viene mai esplicitato), Akari inizia a compiere numerosi attentati, provocando decine di morti e feriti, per poi darsi sempre alla fuga. Impossibile non pensare al personaggio di Sumida di Himizu (Sion Sono) durante la scena in cui la giovane si aggira con occhi spenti per le strade illuminate della città, armata di cutter e alla disperata ricerca di vittime: entrambe persone che dal Sol Levante hanno smesso di ricevere luce, cedendo all’oscurità che le abita. Semplificando ai minimi termini, è di questo che parla New Religion.

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Destino simile a quello di Akari toccherà a Myabi: forse ipnotizzata, con il fantasma della figlia ormai presenza fissa nella sua mente, strangolerà a morte il fidanzato e attaccherà una scuola a bordo di un’auto riempita con gas esplosivo per poi darsi alla macchia. E così i traumi di due individui ormai vuoti, facilmente influenzabili e alla ricerca di una nuova fede che possa sostenerli nella vita di tutti i giorni, riaprono le ferite di un paese intero. Che in Giappone ci sia ancora spazio per l’insorgere di un nuovo movimento religioso (ricordiamo il titolo internazionale) come quello di Aum Shinrikyō?

Autore: Riccardo Turchi
Pubblicato il 26/01/2024
Giappone 2022
Regia: Keishi Kondo
Durata: 100 minuti

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