Psychokinesis

Psychokinesis è il film più politico e disilluso di Yeon Sang-ho, disponibile su Netflix

psycho

Il 20 gennaio del 2009 una quarantina di manifestanti, sfrattati dalle proprie abitazioni, occupano il tetto di un edificio dismesso nel quartiere di Yongsan – il cuore di Seul - per protestare contro un piano iniquo di “riqualificazione urbana” che li costringerebbe, con l’uso della forza, a rinunciare alle loro attività commerciali, senza alcuna garanzia di sostentamento. Prima dell’alba, uno squadra di poliziotti in tenuta antisommossa piomba su di loro per sedare la rivolta, trasformando il raid in un bagno di sangue con decine di feriti gravi e sei vittime tra contestatori e forze dell’ordine. Le indagini assolvono in toto la polizia e il presidente Lee Myung-bak dirotta l’attenzione dei media scaricando la responsabilità dell’accaduto sui suoi sottoposti. Il caso viene insabbiato ma le proteste continuano e il tragico episodio diventa l’emblema della politica repressiva e antisociale attuata dal governo nella Corea del Sud. Il paese è da sempre nel mirino del regista militante Yeon Sang-ho che, dopo aver trasformato i treni coreani in una bomba lanciata contro l’ingiustizia (Seul Station, Train To Busan), ribadisce la sua vocazione civile anche nel suo nuovo film in live-action: Psychokinesis disponibile su Netflix da maggio del 2018.

Come in tutte le pellicole dell’autore è la cronaca a contaminare la fantasia, in un equilibrio perfetto tra realtà e finzione. Infatti è proprio tra le pieghe dell’attualità, in mezzo alle molotov e ai soprusi della mafia, nel centro della capitale preda della speculazione edilizia, che si intrecciano le storie dei due protagonisti principali . Da una parte, quella della lotta che coinvolge la volitiva e incorruttibile Room-hi (Eun kyung Shim), proprietaria di un umile ristorante di pollo fritto, impegnata a contrastare, in compagnia di un giovane avvocato e di un esiguo comitato di piccoli commercianti di quartiere, le mire espansionistiche di una multinazionale senza scrupoli. Dall’altra, quella che vede al centro dell’azione suo padre: Seok-heon (Seung-ryong Ryu), un uomo senza qualità, opportunista e truffaldino, che ha abbandonato la sua famiglia anni addietro per schivare nella vita privata, come in quella pubblica, qualsiasi tipo di responsabilità. Tutta la sua vita è improntata alla fuga, pur di non schierarsi mai contro una società che lo ha reso schiavo dei suoi istinti più bassi. Questo fino al giorno in cui il destino – sotto forma di un misterioso meteorite – non bussa alla sua porta per eleggerlo eroe - suo malgrado.

Immagine rimossa.

Sono proprio gli straordinari poteri telecinetici - acquisiti bevendo l’acqua contaminata dal corpo celeste - a risvegliare in lui l’orgoglio sopito che gli consente di dare un taglio netto al suo meschino passato, concedendogli l’unica opportunità di riabilitarsi agli occhi di sua figlia e dei suoi compagni. L’occasione si presenterà proprio all’alba dello scontro decisivo tra gli ostinati rivoltosi capitanati dall’indomita Room-hi e le truppe di polizia al soldo dell’insaziabile speculatrice Yu-mi Jung (Hong-Sang moo), quando Seok-heon, conscio del suo nuovo status e stanco di subire in silenzio, si ergerà sulle barricate dalla parte dei manifestanti per difendere ciò che gli è più caro: la sua dignità di padre.

Il film – ispirato dagli eventi drammatici di Yongsan – è una storia agrodolce di redenzione e di ritrovata consapevolezza sociale e familiare, stemperata dai toni farseschi e caleidoscopici di una commedia abilmente camuffata da “cinecomics”. Una rilettura sui generis del canone americano, con protagonista un versatile Seung-ryong Ryu nei panni del goffo eroe proletario dai super poteri, perennemente indeciso sul loro effettivo utilizzo. Si tratta di un personaggio tragicomico e sfuggente più simile al nostrano “Jeeg Robot” di Mainetti - come indole ed estrazione - che non ai modelli Marvel e DC a cui siamo stati abituati finora.

Una figura maschile imperfetta, preda di vizi e debolezze, che si aggiunge alla lista di quelle già delineate nelle altre opere da Yeon Sang-ho, sorretta ancora una volta da una presenza femminile predominante e determinante ai fini della narrazione. Il regista si riallaccia all’idea del tormentato rapporto padre-figlia – già espresso in Train To Busan- per mettere in scena uno dei suoi temi chiave: quello del conflitto tra la generazione dei vecchi, ormai remissivi ed asserviti alle logiche del potere e quella dei giovani, ancora virtuosi e agguerriti nel perseguimento di ideali puri e cristallini.

Nonostante il taglio fantastico dato alla storia, apparentemente più disimpegnato e leggero – a tratti macchiettistico – Psychokinesis è probabilmente il film più politico e disilluso di Yeon Sang-ho. Se lo paragoniamo ai titoli più recenti dove alla fine prevale un senso di giustizia sociale (Seul Station) oppure un messaggio di speranza tra le fiamme dell’apocalisse zombie (Train To Busan); qui sembra che il regista voglia far levitare, insieme agli oggetti scagliati via dal protagonista, un sentimento di malcelata rassegnazione. D’altronde la nemesi da fronteggiare in questo caso non è un super villain, proveniente da un’altra dimensione, bensì una multinazionale radicata sul territorio, composta da un esercito di insensibili burocrati. La loro è una tirannia occulta, esercitata nel tempo con metodo e dedizione, per cui agli occhi di chi sa di non poter perdere un super eroe che viene dai bassifondi, al pari di un prestigiatore, è solo un cialtrone che non rappresenta alcun pericolo. Forse il personaggio di Seok-heon non è l’eroe che la Corea del Sud merita ma sicuramente è quello di cui ha bisogno in questo momento, perché laddove il governo di un Paese può incarcerare impunemente i corpi dei suoi oppositori, è bene ricordare a chi resiste ogni giorno che non può controllarne i pensieri, né tanto meno piegarne le menti.

Yeong Sang-ho colpisce ancora, dimostrando di poter girare con personalità e guizzo autoriale un buon super-hero movie, destinato al piccolo schermo, con la giusta dose di effetti speciali e un budget contenuto, senza eliminare gli elementi cardine del genere. Anzi, per dirigerlo attinge direttamente alle radici fumettistiche del filone d’appartenenza, esaltando grazie ad un ottimo cast il tratto fondamentale alla base di ogni eroe che si rispetti, quell’intima e sofferta consapevolezza che: “ Da grandi poteri derivano grandi responsabilità”. Un mantra valido da New York a Seul.

Autore: Jacopo Bonanni
Pubblicato il 28/05/2018

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