MedFilm Festival 2012 / Soldier – Citizen

Soldier/Citizen (Bagrut Lochamin), presentato prima che al MedFilm Festival a Berlino, nella sezione Forum del 2012, è un documentario che offre una prospettiva particolare su aspetti legati al conflitto israelo-palestinese. Il film, stilisticamente scarno ma carico di contenuto, si muove all’interno di una classe di giovani soldati israeliani cui è offerta la possibilità di sostenere gli ultimi esami per poter conseguire la maturità prima di tornare a essere liberi cittadini. Alla stregua de La classe di Laurent Cantet, una telecamera si muove tra i dibattiti nati all’interno del corso di educazione civica, corso che ha lo scopo di affrontare temi fondamentali per poter anche solo immaginare un futuro di pace in Israele. Si parla di tolleranza, di pluralismo, di diritti umani e soprattutto della convivenza, possibile e impossibile, tra israeliani e palestinesi.

Ciò che emerge dalle parole e dalle immagini proposte dalla regista Silvina Landsmann è una profonda confusione che è causata da, e che a sua volta causa, stringenti contraddizioni. Quel che mostra sono ragazzi di vent’anni apparentemente inseriti all’interno di un ambiente scolastico, non fosse per l’obbligo di girare sempre con libro e mitra alla mano. E se l’ambiente li porta ad aprirsi e a rivelare alcune emozioni riguardo, ad esempio, una malridotta famiglia palestinese tenuta ferma a un posto di blocco per otto ore, queste sono immediatamente soppiantate dalla convinzione che sia “tutta colpa loro”. La scorza che emerge è metallica e gelida e loro stessi si definiscono dei “robot” pronti ad eseguire diligentemente gli ordini impartiti dall’esercito.

Il professore è un uomo di mezz’età che opera un grande e ammirevole sforzo comunicativo. Qual è la differenza tra una nazionalità e una religione? E la denominazione “Ebraico” cosa connota? Lo stato di Israele è “Ebraico” e “Democratico”, ma è realmente possibile far convivere queste due definizioni? Uno stato democratico può essere connotato religiosamente? Il professore li esorta a ragionare sulla possibilità, se non di convivenza, almeno di comprensione del punto di vista altrui. Li sollecita a considerare il conflitto come un circolo vizioso che può essere superato, forse, solo attraverso una presa di coscienza di quelle che sono e sono state le responsabilità del popolo israeliano. E se tutti sono d’accordo nell’asserire che la Palestina ha diritto a essere uno stato indipendente, con un suo primo ministro e una legislazione propria, c’è chi allude al fatto che se così fosse almeno il conflitto tra Israele e Palestina potrebbe essere combattuto in una vera e propria guerra tra pari.

Il documentario si chiude, secondo schemi molto classici, con l’esame finale. Nella cerimonia di chiusura il militare responsabile delle attività di insegnamento fa un discorso interessante e, per certi versi, illuminante. L’esercito israeliano vuole essere un esercito civile, che abbia a mente il rispetto dei diritti umani e che sia messo in grado di comunicare con il popolo palestinese. La promessa è, infatti, quella di avviare un corso di arabo per i giovani soldati. Ma cosa vuol dire comunicare? Eccoci dinanzi a un’ennesima contraddizione. Dalle parole del militare questo sembra alludere meramente alla possibilità di dire “buongiorno” e “buonasera” ai posti di blocco. Il cammino da intraprendere è ancora lungo, ma come ci suggerisce la regista attraverso le parole del professore protagonista, è viva la speranza che esista ancora una possibilità di dialogo.

Autore: Lulu Cancrini
Pubblicato il 29/01/2015

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