MedFilm Festival 2012 / Beyond the Hill

Faik è il proprietario di un appezzamento di terreno dove coltiva pioppi e alleva capre. Attorno alla sua splendida vallata, percorsa da un gelido ruscello, creste rocciose e brulle colline nascondono l’orizzonte. L’uomo è convinto che dietro di esse si nascondano dei nomadi che sistematicamente invadono le sue terre con le loro capre. La sua diventa un’ossessione che lo spinge a perlustrare di continuo la campagna armato di fucile e a vivere sentendosi costantemente oppresso e minacciato. Attorno a lui, una famiglia patriarcale rigidamente chiusa nelle proprie tradizioni: Mehmet e il figlio Suleyman, Nurset e i figli Caner e Zafer. Come un manipolo di soldati in guerra contro un nemico invisibile, gli uomini vagano per il grande podere e di notte dormono all’aperto accanto al fuoco. Le uniche presenze femminili di questo racconto teso e pieno di inquietudine sono Meryem e la sua bambina dagli occhi grandi ed curiosi. Vivono però quasi relegate in casa, pronte a servire gli uomini e sempre in pena per la loro sorte. Il regista sembra fare proprio della figura di Meryem, in quanto donna, la depositaria di una “saggezza” e di una razionalità che agli uomini – che man mano si abbandonano a un atteggiamento sempre più irragionevole – resta preclusa.

Faik è sempre nervoso e irrequieto, deluso dal figlio Nurset a sua volta amareggiato per la morte della moglie; il sedicenne Caner è affascinato dal fucile del nonno, ma è pericolosamente inesperto e imprudente; il giovane Zafer è rimasto traumatizzato dalla morte dei compagni in una missione di guerra e cade preda di fosche allucinazioni. Ognuno sembra insomma avere i propri segreti e i propri intimi tormenti.

Con Beyond the Hill, visto nel Concorso Ufficiale di questa 18° edizione del MedFilm Festival, il regista turco Emin Alper descrive efficacemente un microcosmo bloccato in un tempo sospeso, una rude società patriarcale di cui gli uomini stessi sono insieme responsabili e vittime. Più che un atto d’accusa l’autore sembra portare avanti un’indagine attenta e sottile, condotta “poeticamente” attraverso immagini splendide e potenti. La Natura fa qui da protagonista mostrandosi in tutta la sua fascinosa ambiguità, da una parte ammaliante nella sua bellezza, dall’altra insidiosa e misteriosa. Nel paesaggio apparentemente quieto ogni tanto risuona improvviso uno sparo, mentre i protagonisti si perdono e si cercano senza trovarsi. Il rumore del vento tra le fronde dei pioppi sembra addensare il silenzio. Un grosso pezzo di roccia si stacca e rotola valle, inspiegabilmente. Zafer tira la testa fuori dall’acqua fredda del ruscello e resta come pietrificato vedendo passare in ralenti una fila di soldati in tuta mimetica. Quella dell’Anatolia è insomma una Natura “prodigiosa” che non svela i suoi enigmi ai protagonisti del film, ma anzi li confonde e li turba.

Tra piccoli avvenimenti carichi di brutti presagi e accadimenti indecifrabili la violenza è in agguato e i personaggi del film vivono come in attesa di qualcosa di terribile che però potrebbe non accadere mai, come ne Il deserto dei Tartari. Le atmosfere sospese richiamano in parte quelle di un altro recente film turco, C’era una volta in Anatolia, una sorta di giallo tutto esistenziale dove l’oggetto d’indagine era in fondo l’interiorità dei protagonisti – anche in questo caso, tutti uomini – come in parte accade in Beyond The Hill. Presentato al Tribeca Fim Festival e alla Berlinale, questo primo lungometraggio di Alper rivela già le grandi capacità del regista, che smembra la narrazione puntando molto sull’ambientazione, costruisce un impianto figurativo superbo, regala ai personaggi una veridicità e un’espressività particolari. Il discorso che il film apre è insieme sociale (la struttura patriarcale della famiglia, il mondo rurale, la guerra), esistenziale e psicologico (le difficili relazioni fra i personaggi, la paura atavica e tutta irrazionale dell’altro abilmente metaforizzata dalla presenza invisibile e ostile dei nomadi dietro la collina). Qua e là si ravvisano tracce di certi stilemi tipici del thriller e forse addirittura del western, riletti e rimescolati con maestria e originalità al servizio di una poetica già matura e suggestiva.

Autore: Arianna Pagliara
Pubblicato il 29/01/2015

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